Omelia (28-02-2021) |
don Mario Simula |
Nuovi, fragili e feriti Durante la preghiera avviene la trasfigurazione di Gesù. Se vogliamo riconoscere il Signore nello splendore della sua gloria, dobbiamo scegliere la condizione dell'intimità con Lui. Gesù porta i suoi tre amici Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte per pregare. E mentre prega si trasfigura. Cristo Signore non lo si trova nel chiasso. Il chiasso esteriore è talmente ingombrante da non lasciare spazio al cuore. Il chiasso interiore impedisce al cuore di raccontare il suo amore e quindi impedisce a Dio la possibilità di manifestarlo. Vuoi che "non ci venga nascosto il volto di Dio"? Tu che cerchi il volto del Signore, vuoi trovarlo? Trova il tempo e lo spazio del silenzio, il clima e la condizione della contemplazione, l'esperienza del cuore puro o proteso alla purificazione. Altrimenti Dio non è sperimentabile. Non lo si può "vedere". Signore, se la mia vita non percorre i sentieri della solitudine abitata da te, abitata dal colloquio intimo con te, non potrò mai vederti. Rimarrai sempre per me un desiderio velleitario, un'illusione della mia fantasia. Non avrò la grazia di incontrare il Dio del "roveto", che mi ferisce e mi manda. Durante la preghiera il volto di Gesù diventa, anche per il nostro sguardo debole, il volto del Figlio Amatissimo, splendente e sfolgorante. Davanti agli occhi dei tre discepoli si svela il mistero di Gesù di Nazareth. La contemplazione diventa totale, per quanto è possibile a due occhi di carne. Cosa vedono i nostri occhi? Il Figlio di Dio eterno e santissimo, quello che le nostre mani ogni giorno toccano e le nostre orecchie ascoltano e del quale le narici sentono il profumo immortale. Non è una visione immediata, perché Pietro e i suo compagni sono "oppressi dal sonno". Soltanto quando si svegliano dallo smarrimento "vedono la sua Gloria e i due uomini che stanno con lui". Forse mai capirò compiutamente che per incontrarti e vederti, Signore, devo scuotermi dal sonno che mi opprime. Il mio amore è sonnolento, appesantito da infiniti orpelli. Il mio amore non riscalda il cuore e non si accorge di te. Svegliami, Signore da questo torpore di morte. Da questa fede precaria. Dalla cronicità di una speranza sempre vacillante. Pietro, Giacomo e Giovanni, quando ravvivano il loro sguardo, vedono la meravigliosa rivelazione del Maestro. E' ancora un vedere che si accontenta di ciò che appaga e suscita il desiderio, in attesa di una purificazione piena: "E' bello per noi restare qui, Maestro. Facciamo tre capanne". Non sanno andare oltre. Ancora una volta non sanno quello che dicono. Confondono il segno con la realtà. Si accontentano di un bagliore e dimenticano il Sole. E' proprio vero che noi ci accontentiamo del poco che sperimentiamo nel cammino verso il Signore. Ci accontentiamo delle briciole che raccogliamo da terra per non fare la fatica di cuocere il pane. La misura colma, sovrabbondante e rigogliosa ci fa paura. Richiede uno svuotamento dell'anima da ogni zavorra. Signore, il giorno nel quale accetterò di invertire rotta per seguire le tue orme, potrò dire, a ragione, che è bello stare con te. Allora saprò anche accettare che tu mi riporti alla vita e mi accompagni verso il monte della Crocifissione. L'alleanza decisiva con te viene sigillata con quel sangue che gronda sul mondo. Inizierà il nostro "esodo" e ci ritroveremo liberi a contemplare la Pasqua. Oggi è il momento del "non ancora". E' il momento della fede oscura e certa: l'alba del Terzo Giorno. Il mio cuore ne sa qualcosa. E anche tu, Gesù, ne sai qualcosa. Lungo la strada verso Gerusalemme, luogo della passione e della morte, sperimenteremo la nascita dell'uomo trasfigurato. Ritroveremo dentro di noi l'uomo assalito dal terrore, nella profonda notte, come avviene ad Abramo che domanda un segno sulla veridicità della promessa che Dio gli sta facendo. Il fuoco del Signore scende e brucia le offerte, brucia il nostro cuore, lo passa per il crogiuolo. Nel segno del fuoco Abramo comprende e noi comprendiamo che di Dio ci si fida senza vedere. Di Dio ci si fida per amore. |