Omelia (07-03-2021) |
diac. Vito Calella |
Andare oltre l'«Io ti do se tu mi dai» Io ti do se tu mi dai Siamo abituati a vivere le nostre relazioni con gli altri seguendo la logica commerciale dell' «Io ti do se tu mi dai»: io dono qualcosa di me stesso a te, ma prima voglio sapere che cosa tu mi dai in cambio. È la legge di mercato della domanda-offerta: io compro da te se l'acquisto è vantaggioso per me. Il sistema del grandioso tempio di Gerusalemme ruotava attorno alla pratica religiosa dei sacrifici di animali e delle offerte. Si basava sulla stessa dinamica della relazione commerciale: se offriamo sacrifici a Dio, saremo benedetti e protetti con le sue benedizioni. La logica commerciale dell'«Io ti do se tu mi dai» faceva del tempio di Gerusalemme, soprattutto in occasione della festa di pasqua, un business economico a favore della casta dei sommi sacerdoti Anna e Caifa, che controllavano il mercato di animali e dei cambiavalute, organizzato sulla grande spianata. Anche la vita morale del popolo di Israele rischiava di dipendere dall'«Io ti do se tu mi dai». C'era eccessivo affidamento all'iniziativa umana perché bisognava "sforzarsi" di obbedire ai dieci comandamenti e a tutti gli altri precetti elaborati e scritti nei libri sacri. Così agendo si pretendeva da Dio la prosperità, la benedizione della salute, la vita felice. Non obbedendo ai comandamenti, si doveva temere il castigo divino. Credere in Gesù Cristo è passare alla diaconia della gratuità del dono Che senso ha scegliere di credere in Gesù Cristo? Ha senso perché il nostro conoscerlo e amarlo, ascoltando e pregando il Vangelo, ci aiuta ad uscire dall'abituale relazione umana dell'«Io ti do se tu mi dai». Sì, perché Gesù ci ha rivelato la bellezza e la profondità della relazione trinitaria, cioè dell'eterna vita divina, da cui tutto proviene: l'esserci di tutte le cose del cielo e della terra e l'esserci della nostra fragile esistenza. Gesù ci ha rivelato di non agire mai da solo, ma di vivere costantemente in relazione filiale con il Padre, sostenuto e guidato dallo Spirito santo. L'amore che unisce eternamente il Padre e il Figlio nella vita trinitaria è lo Spirito santo. Lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio perché la comunione rispettosa dell'Uno (il Padre) e dell'Altro (il Figlio), è così bella e feconda che non può rimanere nella relazione Io-Tu, ma diventa una sovrabbondanza di dono. Questa eccedenza di dono si esprime nelle infinite bellezze dell'universo creato e soprattutto nel dono della coscienza e della libertà della creatura umana, scelta dal Padre, unito al Figlio nello Spirito santo, per vivere una relazione speciale di amicizia e di collaborazione nell'opera stupenda dell'universo creato. Il Padre unito al Figlio nello Spirito santo vuole fidarsi della relazione con ciascuno di noi. Ma sa che ognuno di noi può accettare o rinnegare questa sua proposta di amicizia. Quando la creatura umana ha voluto scegliere di bastare a se stessa, confidando nelle sue capacità, illudendosi della sua libertà incondizionata, ha cominciato a generare disastri, perché la sua fragilità e la sua condizione mortale gli impongono di vivere relazioni in cui ciascuno si preoccupa di salvare se stesso e le persone a lui care. Di fronte alla povertà, alle malattie, alle ingiustizie, alle guerre allora ci si ricorda che può esistere anche Dio. Ma si rischia di elaborare un sistema religioso basato sulla stessa regola umana dell'«Io ti do se tu mi dai». La venuta del Figlio di Dio in mezzo a noi, che custodiamo in noi mediante l'incontro orante con il Vangelo, ci fa intuire la proposta dello stile nuovo della diaconia, cioè del farci servi, dono gratuito per gli altri. Più sostiamo meditando le gesta e le parole di Gesù, più ci rendiamo conto che la sua corporeità vivente ci trasmette la relazione tipica dell'eterna vita trinitaria, non basata sull'«Io ti do se tu mi dai», ma sull'«Io mi do tutto a te e tu datti completamente agli altri». Il vero senso dei dieci comandamenti Questo è il senso più profondo dei dieci comandamenti, da non vivere come uno sforzo moralistico di sola iniziativa umana. I primi comandamenti, fino a quello dell'osservanza del riposo settimanale, sono un invito a coltivare la consapevolezza, non scontata, che Dio c'è, agisce nella nostra esistenza e nella storia del nostro popolo e dell'umanità, giorno dopo giorno. Agisce e c'è soprattutto quando ci troviamo imbrigliati e schiavizzati dalle conseguenze dell'egoismo umano che, in nome del potere, del piacere per sé e della paura, continua a generare ingiustizie e sofferenze. Il Padre unito al Figlio nello Spirito santo non si è solo donato fuori di sé attraverso l'esuberanza di dono dell'opera della creazione dell'universo, ma continua a donarsi fuori di sé nell'opera della redenzione, cioè continuando a credere nella relazione con noi, donne e uomini, anche quando noi gli volgiamo le spalle e facciamo disastri con le nostre scelte egoistiche. Il Padre unito al Figlio nello Spirito santo c'è nelle situazioni gioiose e belle della vita e anche in quelle drammatiche di povertà, di ingiustizia. C'è rispettando la nostra libertà e attendendo il riconoscimento della sua misericordia superiore alla sua ira, della sua eterna fedeltà, incrollabile di fronte alle nostre infedeltà. C'è e non ci abbandona mai, nemmeno quando la nostra esistenza è precipitata nella tenebra del non senso. Ma quando noi scopriamo di essere amati, nonostante i nostri errori, nonostante i disastri commessi dal nostro voler salvaguardare solo noi stessi, il Padre unito al Figlio nello Spirito santo ci chiede di manifestare la nostra riconoscenza verso di Lui facendoci noi stessi dono per gli altri, promuovendo relazioni di rispetto dell'altro. È questo il senso degli altri comandamenti, che sono proposte pratiche per vivere relazioni di gratuità tra di noi, fuori della regola dell'«Io ti do se tu mi dai», animati e sostenuti dall'esperienza di sentirci amati, abbracciati dalla misericordia divina e sostenuti dalla gratuità del suo amore. Il vero credere in Gesù ci porta a sostare sotto la croce, illuminati dalla risurrezione Credere veramente in Gesù Cristo non ha nulla a che vedere con logiche di interesse. Gesù stesso - abbiamo ascoltato nel vangelo - «conosceva quello che c'è nell'uomo» (Gv 2,25). Sapeva che tante adesioni alla sua persona si basavano sulla regola dell'«Io ti do se tu mi dai». Molti credevano in lui perché speravano di ottenere guarigioni, soluzioni facilitate dei loro problemi, vantaggi politici, visto il suo coraggio di affrontare le autorità del tempio! Questa non era la vera esperienza di fede. Credere veramente in Gesù Cristo significa accompagnarlo fino alla sua morte, e morte di croce! La vera fede in Gesù Cristo nasce contemplandolo crocifisso. Quel suo corpo, che oggi esprime gesti forti contro la logica mercantilistica delle nostre relazioni umane e della nostra relazione con Dio, doveva diventare un corpo completamente donato a tutti, donato soprattutto a chi è guidato dagli interessi egoistici del salvare se stesso e il proprio patrimonio economico e i propri interessi politici. Gesù fu condannato a morte dalle autorità religiose del tempio di Gerusalemme, ma donò tutto se stesso anche per loro. Quel corpo, che per le strade della Palestina, possiamo contemplarlo pro-teso all'incontro gratuito e servizievole con gli ammalati, con gli esclusi, con i peccatori più incalliti, con gli affamati, con la gente persa e vagante come pecore senza pastore, diventerà un corpo crocifisso, «scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1Cor 1,22b). Il farsi dono gratuito presuppone la sfida di non pretendere per sé nessuna ricompensa, nessun ritorno immediato. Donarsi gratuitamente è un salto nel buio, è un abbandono radicale, una resa fiduciosa nella comunione. Donarsi gratuitamente è fare della propria iniziativa umana una resa, confidando in una risposta al dono, che non dipende più da noi stessi, ma dall'agire del Padre, per mezzo del Figlio, con la forza dello Spirito santo, a cui ci si è abbandonati. Gesù crocifisso diventò debolezza totale, impotenza totale, scandalo e stoltezza agli occhi dell'umanità. Nel farci dono gratuito per gli altri compartecipiamo alla stessa esperienza di Gesù crocifisso. Possiamo arrivare al punto di sperimentare il fallimento totale, la debolezza totale, l'impotenza totale anche di fronte a chi amiamo di più e continuiamo ad amare, ma non ci rispetta, perché confida troppo in se stesso. Sostando sotto la croce, guardando a Gesù crocifisso, vogliamo credere che ogni atto gratuito non ricompensato immediatamente secondo le nostre aspettative è una forza di vita capace di superare anche la soglia di una morte ingiusta e prematura, segnata dal fallimento totale della nostra missione, dei nostri ideali. Lo possiamo credere perché quel corpo crocifisso è stato risuscitato. La forza eterna e vitale dello Spirito santo ha prevalso anche sulla morte e dove c'è un "morire" per questa comunione d'amore rispettoso dell'altro, ci sarà sicuramente un "essere risuscitati" per una vita nuova che già ha il sapore dell'eternità. |