Omelia (07-03-2021)
don Alberto Brignoli
La follia della fede

"La religione cristiana è una forma di follia che non va d'accordo con la sapienza. Le prove di ciò sono queste:
• quelli che più amano andare in chiesa e partecipare a funzioni religiose sono i bambini, le donne, gli anziani e alcune persone con forme di disabilità più o meno gravi, ovvero le categorie da sempre considerate più deboli;
• i primi evangelizzatori, i discepoli di Gesù, erano gente senza alcuna cultura e di un'estrazione sociale semplice, se non addirittura umile o misera;
• l'immagine del cristiano che sceglie la povertà, che lascia le ricchezze e i piaceri della vita per vivere di digiuni, veglie, sacrifici e carità verso gli altri non stimola certo ad essere imitata".

Non so quanti di noi possano sentirsi offesi o anche solo essere in disaccordo con queste affermazioni: ma non crediate che esse siano state fatte da un uomo della strada, un uomo comune, un cittadino "qualunque e qualunquista", e nemmeno da un ateo avversario dei cristiani. Sono affermazioni (sintetizzate e rielaborate) di uno dei più grandi pensatori cristiani dell'Umanesimo, e che forse a ragione può essere considerato il padre dell'Umanesimo Cristiano, Erasmo da Rotterdam (siamo a cavallo tra il 1400 e il 1500), il quale, consapevole del decadimento morale e intellettuale nel quale era caduta la Chiesa del suo tempo, invece di assumere un atteggiamento di sfida come fu, ad esempio, quello che portò alla Riforma di Lutero, cercò di portare avanti l'idea di una fede cristiana radicata nell'interiorità dell'anima. Le pratiche esteriori della vita religiosa, secondo Erasmo, non hanno valore se non sono ricondotte alle virtù essenziali del cristiano: l'umiltà, il perdono, la compassione, la pazienza e l'amore. Fu anche fautore di una tolleranza religiosa che permettesse alla Chiesa di entrare in dialogo con tutti, evitando di condannare al rogo come eretica gente che aveva vedute dottrinali diverse. Non ebbe vita facile, con la gerarchia ecclesiastica di allora, e neppure con il luteranesimo; anche perché aveva scritto un'opera (la sua più grande opera), "Elogio della follia", in cui così descriveva la fede cristiana: "La religione cristiana ha una specie di parentela con la pazzia, perché coloro che sono stati conquistati dalla pietà cristiana hanno prodigato i loro beni, trascurato le offese, tollerato gli inganni, considerato amici i nemici, evitato i piaceri, avuto a fastidio la vita, desiderato la morte. Insomma, sono diventati assolutamente ottusi a ogni senso comune, come se il loro animo vivesse altrove, non dentro il corpo. E questa che cos'è, se non pazzia? La saggezza umana è follia agli occhi di Dio e viceversa".
Ci sembra normale che questo potesse costare a Erasmo grossi problemi con le autorità religiose di quel tempo, e forse anche col sentire della gente comune; magari "cozza" anche con il sentire comune nostro. Se è così, allora, offendiamoci e prendiamocela anche con queste altre parole: "Noi annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti, ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini". Che altro non sono che le parole di Paolo nella seconda lettura, e al termine delle quali abbiamo acclamato "Parola di Dio" e gli abbiamo detto addirittura "grazie".
C'è poco da fare: umanamente parlando, nel cristianesimo c'è molta irrazionalità; nella fede cristiana non possiamo non considerare una forte dimensione di follia; nell'essere fedeli al messaggio cristiano non possiamo evitare di essere "pietra di scandalo". Che cosa c'è di "sano" in una mentalità che vede nella croce un'occasione di salvezza, invece che l'espressione più cruenta del patibolo per un condannato a morte? Che cosa c'è di "a posto" in un messaggio che dice di amare tutti, anche coloro da cui riceviamo offese? Che cosa c'è di "umano" nel martirio? Eppure, il messaggio di Gesù che fondamentalmente si riduce a due concetti - amore a Dio e amore al prossimo - viene da molto lontano, ed è comune a tante fedi, di origine cristiana e no, di origine monoteista ma anche politeista, di stampo occidentale ma anche orientale.
E spesso ci dimentichiamo che questa tradizione viene da lontano: ce ne dimentichiamo al punto che la seppelliamo sotto forme di religiosità che di essenziale, di vero, di sincero, hanno ben poco. Le seppelliamo sotto una cortina di regole, riti, ritualità, obblighi e precetti che ci fanno perdere il rapporto vero e diretto con Dio Padre. Se ciò non fosse vero, allora non si spiegherebbe il gesto (decisamente folle pure quello) di Gesù che entra nel Tempio di Gerusalemme e butta all'aria tutto, prendendo a frustate mercanti e venditori che altro non facevano se non ciò che la loro religione non solo permetteva loro di fare, ma lo considerava necessario.
E non ci vuole una sapienza alla Erasmo da Rotterdam per tornare a un rapporto con Dio fatto di sincerità e di genuinità, e di conseguenza a un rapporto con l'umanità fatto di amore e di rispetto reciproco. È sufficiente andare a rileggerci i famosi "Dieci Comandamenti", da noi spesso ritenuti superati e legati a una mentalità vetusta, per ritrovare una sapienza divina che, pur appartenendo all'Antico Testamento, racchiude dentro di sé la folle sapienza del cristianesimo.
Tre parole sull'amore a Dio (sappi che è lui, Dio, e nient'altro; vedi di rispettare il suo nome; vedi di dimostrargli il tuo amore, se è vero che lo ami) e sette parole sui rapporti tra di noi hanno creato, sin dai tempi di Mosè e forse anche prima, la base su cui costruire la sapienza del credente. Pura follia, secondo la mentalità del mondo? Può darsi. Allora, ben venga, a mio avviso, essere considerati stolti e scandalosi, se questo significa rispettare chi ci ha messi al mondo, rispettare la vita e la libertà degli altri, rispettare la dignità degli altri, rispettare i beni e gli affetti degli altri, rispettare l'amore che nutriamo verso gli altri e che essi nutrono verso di noi.
Davvero, se è così, ben felice di essere follemente credente in Gesù Cristo, e magari anche follemente innamorato di lui!