Omelia (06-10-2005)
Casa di Preghiera San Biagio FMA


Dalla Parola del giorno
Avete affermato: «E inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall'aver osservato i suoi comandamenti o dall'aver camminato in lutto davanti al Signore degli eserciti? Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti».

Come vivere questa Parola?
Il profeta Malachia ci pone dinanzi a una domanda inquietante, ben nota anche a noi, uomini del XXI secolo: perché i giusti devono assaporare l'amarezza della prova? Perché i reprobi prosperano? In realtà il problema è più radicale: "perché il dolore"? Ecco il grande enigma che ci tormenta! Ecco il grande scoglio con cui anche la fede è chiamata a confrontarsi! "Se Dio è buono, perché il dolore? Se Dio è giusto, perché non castiga e non premia?", viene da chiedersi. Ne sono un'eloquente conferma certe espressioni correnti: "Che cosa ho fatto di male perché mi capiti questa disgrazia?".
Nel tentativo di "scagionare" Dio, si trasferisce tutto nell'al di là, quando, finalmente, Egli "farà giustizia". Certo, crediamo nel giudizio di Dio e nella sua giustizia, ma il problema è molto più serio. Il dolore, qualunque volto assuma, è "mistero", la sofferenza degli innocenti è "mistero", e come tale lo accettiamo. Alla luce della fede esso si illumina e si trasfigura. Perde quell'alone di assurdità che lo rende ripugnante. Se Dio è Amore onnipotente, il permanere del dolore nel mondo ha un perché, sia pur misterioso. Non può essere l'ultima parola, né un imprevedibile "incidente di percorso". Se Dio non lo ha rimosso, anzi vi si è immerso, aprendo per esso la via della redenzione, esso ha un senso, una funzione, uno scopo. Qualcosa se ne può intuire anche a livello di esperienza umana: la prova, se assunta positivamente, fa crescere, maturare. In genere, chi è passato per il crogiuolo del dolore riesce meglio a capire gli altri, è più "umano". Certe forme di egocentrismo infantile si sfaldano più facilmente. Le prove sono legate al fatto che Dio non è "paternalista" ma "Padre". E nessun padre rimuove tutti gli ostacoli dinanzi al figlio, se ne vuol fare un uomo.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, cercherò di "rileggere" i momenti di prova alla luce della fede. Riconfermerò la fiducia in Dio-Padre e mi abbandonerò a lui.

Credo che tu sei Amore. Credo che nulla permetti di quanto possa nuocermi. Credo e mi abbandono, anche quando non riesco a capire, perché so che sei mio Padre.

La voce di un biblista del XVII secolo
Le afflizioni santificate si trasformano in promozioni spirituali.
Matthew Henry