Omelia (21-03-2021)
Michele Antonio Corona
Il discepolo: liberato dal dono, seminato nell'amore

Il turbamento di Gesù ci sconvolge a questo punto del vangelo di Giovanni.

Ci troviamo dopo la risurrezione di Lazzaro, dopo l'unzione di Maria a Betania e nel momento in cui i Greci chiedono di "poter vedere Gesù".

L'espressione sottintende un desiderio profondo di questi pagani, non solo di incrociare Gesù o di sbirciarlo in qualche modo, ma di incontrarlo, conoscerlo, stare a contatto con lui. Eppure, quest'apparente situazione di successo e di tranquillità nasconde l'intenzione ufficiale da parte di sacerdoti e di anziani di mettere a morte Gesù. Il turbamento di cui si fa cenno - che richiama alla situazione descritta dai sinottici del Getsemani - comprende l'apprensione di Gesù per il momento decisivo e, ancor più, lo sguardo che lui ha sui discepoli e sul loro disequilibrio nella sequela. Non sono ancora bene radicati e temono di fare come il chicco di grano che per dare frutto deve morire, per conservare la vita non deve stringerla e soffocarla, ma donarla.

Ecco la dinamica feconda per il discepolo: liberato dal dono e seminato nell'amore.

I greci chiedono di vederlo e Gesù supera la loro aspettativa, spalancandola a chiunque: se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.

Gesù offre un'esistenza con lui (il significato profondo di Emanuele, il Dio con noi). Si propone come Dio con, non Dio al di sopra e neppure Dio al di fuori. Ha scelto la compagnia, ancor più col dono del pane eucaristico, che richiama al suo dono d'amore sulla croce e alla partecipazione alla sua risurrezione. La voce tonante dal cielo non fa' che asseverare la parola significativa di Gesù; è in qualche modo il senso compiuto del progetto d'amore di Dio.


Il salmista ci esorta con un'invocazione dirompente: rendimi la gioia di essere salvato. Noi che ci siamo abituati anche alla salvezza, alla liberazione, alla purificazione, alla guarigione operata dalla risurrezione, abbiamo bisogno di ricordarcelo e di proclamarlo ancora. In un tempo votato al piacere a ogni costo, abbiamo perso il senso della gioia, quella piena, quella che rimane, quella che non passa con le tribolazioni e le prove. Abbiamo bisogno di riscoprire quell'alleanza stipulata da Dio col nostro cuore e scritta nel nostro intimo. Non c'è bisogno di cercare fuori o altrove, basta entrare nel tempio che Dio ha scelto per abitare definitivamente con noi e in noi.


La seconda lettura ci offre, infine, un quadro che tratteggia l'esperienza del Figlio a favore dei figli. Il Cristo si è fatto garante della nostra umanità patendo, obbedendo, offrendo preghiere e suppliche, gemendo e piangendo. Ha condiviso pienamente la condizione umana e la nostra fragilità, ridonandoci la salvezza eterna, che non ci sarà più tolta.

I terroristi religiosi - non mi riferisco agli attentatori, ma ai bigotti - non amano la gratuità di Dio e vogliono guadagnare la salvezza a forza di penitenze e preghiere. Geremia, e soprattutto Gesù, ci ricorda io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il peccato.

Ecco l'opera di Gesù, ecco la sua salvezza, ecco il vangelo, ecco la buona notizia!