Omelia (21-03-2021)
fr. Massimo Rossi
Commento su Giovanni 12,20-33

Benvenuti a questo inizio di primavera! Fosse anche l'inizio di una nuova primavera per la nostra umanità, così provata dai rigori dell'inverno pandemico!
Voglia Iddio esaudire il nostro accorato desiderio.

Veniamo subito al Vangelo: come sapete non è previsto un anno liturgico interamente dedicato alla lettura (festiva) di Giovanni: l'anno A si legge Matteo, l'anno B Marco, e l'anno C Luca. Giovanni viene inserito in alcuni momenti particolari dell'Anno; e oggi, come nelle ultime due domeniche, il quarto Evangelo sostiene la nostra fede, in preparazione alla Pasqua di Risurrezione.
La pagina è molto conosciuta, utilizzata in occasione dei funerali: la famosa parabola del chicco di frumento che caduto a terra muore per dare vita a tanti chicchi racchiusi nella spiga.
Se ricordate, domenica scorsa vi ho citato le parole del p.Timothy Radcliffe: i martiri hanno dato la loro vita non perché la considerassero meno di niente, ma perché l'amavano talmente da ritenerla il dono più prezioso che potessero fare al mondo, per Cristo, con Cristo e in Cristo. Non si rinuncia a vivere perché si disprezza la vita, ma perché si ama troppo... Questa è la verità!
Oggi il Signore afferma il contrario: "Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.": in verità non c'è opposizione tra le parole del famoso teologo domenicano e quelle di Gesù. "Odiare la vita" non è espressione da tradurre alla lettera! Amare la propria vita è un conto. Amare Dio più della vita - questo è il vero significato delle parole usate dal Signore - è ciò che fa la differenza tra un cristiano e un martire di Cristo.
Il martirio non si va a cercare; il martirio può capitare, quando in circostanze particolari, ci si trova ad un bivio: scegliere di rinunciare a Cristo per aver salva la vita, oppure rinunciare alla vita pur di conservare la fede. Forse a noi non capiterà di trovarci ad un bivio così radicale e drammatico... ma, tranquilli, non per questo ci sarà negato l'accesso alla vita eterna!

Il Vangelo di oggi presenta un Gesù particolarmente umano; dice così: "Ora l'anima mia è turbata; e che debbo dire: Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome" (vv.27-28).
Ritorna il tema dell'Ora del Signore: in occasione del miracolo dell'acqua trasformata in vino (Gv cap.2), Gesù aveva rimbrottato sua madre: "Non è ancora giunta la mia ora."
Dieci capitoli dopo, eccolo rivelare ai discepoli che la Sua missione è quasi compiuta, ma resta ancora una cosa da fare, la cosa più importante: morire.
"Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!»" (v.28b).
Non è facile, per il popolo, decifrare una voce che viene dal Cielo, soprattutto se la folla è numerosa, e abbiamo motivo di credere che in quel momento, di folla attorno a Gesù ce ne fosse parecchia. Non si spiegherebbe la descrizione, per così dire, un po' articolata, di come gli apostoli presentarono al loro Maestro la domanda di quei greci, pellegrini anche loro, che stavano salendo a Gerusalemme per la Pasqua e volevano conoscere Gesù di persona.

L'uomo glorifica Dio e Dio glorifica se stesso: uno dei Padri della Chiesa primitiva, Ireneo di Lione, II sec. dopo Cristo, scrive che la gloria di Dio è l'uomo che vive. Gesù afferma invece che la gloria di Dio è l'uomo che muore... Le due espressioni sono apparentemente in contraddizione.
In verità non è così: a meno che la morte non venga intesa come negazione della vita.
La morte non si oppone alla vita. Casomai, alla morte si oppone alla nascita, ma non come negazione tout court, bensì come l'altro estremo di un segmento che chiamiamo vita.
Nell'ottica cristiana, la morte è la porta che apre il passaggio all'eternità; una porta stretta, che si fa fatica a varcare; ma è l'unica che c'è!
L'istinto si ribella alla morte, l'istinto la rifiuta... Ci illudiamo che anche stavolta ne usciremo, anche stavolta non sarà la fine; ne abbiamo superate tante, di prove, supereremo anche questa,...
Non è ancora giunta la nostra ora!

Il Signore reagisce alla situazione dichiarando che la sua morte non è una sconfitta, ma una vittoria! "Ora è il giudizio di questo mondo;" (12,31). Certe volte l'italiano è ambiguo; che significa: "Ora è il giudizio di questo mondo"?...che il mondo viene giudicato, oppure che è il mondo a giudicare?...e a giudicare chi? Bah, mi sa che l'enigma rimarrà insoluto...
Gesù continua: "Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori.", e con questa dichiarazione il Maestro di Nazareth proclama la Sua personale vittoria sulla morte.
Anche questo, a ben pensarci, è un fatto del tutto naturale: non è forse da guardare come una vittoria, il frutto generoso del chicco di grano, caduto in terra?

La primavera che ho evocato in esordio, è la prova che la natura non è ostaggio della morte, ma è in grado di integrarla - la morte - quale elemento determinante, a garanzia della rinascita.

Tra sette giorni celebreremo la Domenica di Passione: e così, anche quest'anno la Quaresima avrà raggiunto il suo culmine, l'innalzamento di Gesù sulla croce, stargate ante litteram, attraverso il quale il Figlio di Dio varcherà la soglia della vita terrena e tornerà al "Padre suo e Padre nostro, Dio Suo e Dio nostro.": con queste precise parole il Risorto si rivolge alla Maddalena, il mattino di Pasqua.
Lo vedete? neanche Dio è stato capace di evitare per sé questo passaggio.
Traete voi le debite conclusioni, senza cinismo, e in tutta verità. Forse, chi osò chiamare ‘sorella' la morte corporale, non era poi così fuori di testa...