Omelia (28-03-2021)
fr. Massimo Rossi
Commento su Marco 14,1-15,47

Colpisce l'enorme divario tra il valore di quel vaso di profumo e il valore stimato dai sommi sacerdoti come compenso per la delazione di Giuda: un profumo vale 10 volte di più d'una vita... dev'essere stato proprio prezioso quell'unguento di nardo!...o forse era la vita di Gesù che valeva meno di niente.
"Chi disprezza compra!", dice il proverbio: i capi del popolo avevano tutto l'interesse a screditare la persona di Gesù, considerandolo un pericolo per il loro prestigio, ma anche per la sorte del popolo stesso... L'eco mediatica che il Signore aveva suscitato costituiva una sorta di mina vagante, pronta a infiammare quella polveriera chiamata Gerusalemme, remota periferia dell'Impero, ma anche porta di ingresso per l'Oriente...

Come cambia il valore, il significato di un fatto, a seconda del punto di vista dal quale lo si osserva!
Che la questione-Gesù non fosse proprio una inezia, lo dimostra la crisi che l'Impero cominciò a patire nei secoli a seguire; il messaggio lanciato dal Nazareno sprigionò una potenza sovversiva senza precedenti. Roma, la città eterna, capitale di un impero quasi millenario, non fu in grado di opporvi resistenza. Del resto, chi può resistere alla forza disarmata della Verità?
Domenica scorsa ci siamo lasciati con l'amaro giudizio del Signore sulla storia che si nasconde alla Luce: "Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori..." (Gv 12,31).

"Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi": il racconto ricostruisce i fatti accaduti intorno alla grande festa ebraica e, anche secondo Marco, l'ultima cena che Gesù consumò con i suoi era il "sedèr pasquale". Lasciamo da parte il dibattito se quel pasto fosse, oppure no la cena pasquale... È fondamentale tenere presente l'ordine dei passaggi: il primo è l'annuncio del tradimento; viene poi descritta l'istituzione e lo scrittore precisa che tutti mangiarono il pane, tutti bevvero il vino. Lo stato emotivo di Gesù non influenza minimamente i suoi sentimenti nei confronti dei discepoli. La tristezza che cominciò a provare nel Getzemani, forse più paura che tristezza, una potente chimica capace di produrre sudore di sangue, non spense l'amore che il Maestro di Nazareth nutriva per loro.
Gesù è pronto per il martirio: l'ora è giunta, lo spirito è pronto, il calice consacrato.
Non resta che berlo fino in fondo...

Nessun rancore, dunque, né verso i Dodici per averlo tradito, rinnegato, e infine, abbandonato; né verso i Sommi Sacerdoti; e neppure verso Erode, o Pilato; tantomeno nei confronti dei soldati e della gente che sfilava sotto la croce e lo scherniva.
La fede-fatta-Persona, non ha nulla da spartire con il rancore.
Questo fa del Cristo un uomo libero davvero, immagine perfetta del Creatore.
Vi prego di riflettere bene sullo stretto legame che il Vangelo rinviene tra rancore e schiavitù, da una parte, e perdono e libertà, dall'altra.
All'inizio della Quaresima ho ricordato che il mistero dell'Incarnazione si configura come evento di liberazione ultima e definitiva da ogni forma di dipendenza e di schiavitù.
L'ultima schiavitù - o forse la prima! - dalla quale Cristo ci può liberare, se soltanto ci fidiamo e ci affidiamo a Lui, è il nostro rancore.
Il Suo esempio ci aiuti - è questo il mio augurio sincero! - a perdonare tutti coloro che ci hanno fatto del male, per diventare liberi davvero, da noi stessi; liberi cioè "perfetti come è perfetto il Padre nostro che è nei cieli."; sono testuali parole di Gesù, che conclude così il discorso della montagna,...parlando proprio del perdono (cfr. Mt 5,38-48).