Omelia (21-03-2021)
don Alberto Brignoli
Passare da morte a vita: un vero e proprio mistero!

Spesso, di una persona riservata e che dà poca confidenza agli altri, diciamo che è una persona che "sta sulle sue". Nella stragrande maggioranza dei casi lo diciamo di persone che a questo atteggiamento accompagnano un carattere per così dire "poco gradevole", per non dire alquanto altezzoso... Non necessariamente, però: una persona può anche "stare sulle sue" perché preferisce non immischiarsi negli affari degli altri, oppure perché sente che le questioni in ballo non lo riguardano, o semplicemente per ritagliarsi uno spazio di autonomia che lo preservi, lo salvi dal rischio di rimanere invischiato in situazioni poco piacevoli o eccessivamente compromettenti per la propria vita. Proprio per questo motivo, preferisce "stare sulle sue" e non impegolarsi nelle situazioni complesse di una vita già complicata di suo.
Certo, questo gli fa perdere una serie di innumerevoli opportunità: "Chi non risica, non rosica", recita un celebre proverbio toscano, con cui si insegna che chi sceglie di non rischiare, di non buttarsi nella mischia, difficilmente ottiene risultati. È questione di scelte, come quasi sempre avviene nella vita: sei tu che devi scegliere se buttarti o no, se entrare nella mischia o no, se metterti in gioco oppure no, se entrare in relazione con il mondo oppure, appunto, "stare sulle tue".
"Quasi sempre", dicevo, perché ci sono anche situazioni in cui non ti è dato di scegliere, e volente o nolente ti trovi invischiato nelle cose della vita, al punto che è la vita a scegliere per te, e quello spazio che ti eri ritagliato per poter "stare sulle tue" - e quindi, tutto sommato, anche comodo e beato - viene invaso da ciò che meno ti aspetti e che, spesso, neppure gradisci. È il caso, ad esempio, del dolore e della sofferenza, realtà che nessuno di noi sceglie di affrontare e di vivere, bensì che ti capitano addosso e di fronte alle quali hai ben poco da fare e inevitabilmente ti ci trovi invischiato, senza aver la possibilità di scegliere di "stare sulle tue". Tu puoi anche dire "scelgo di non soffrire", "scelgo di stare sulle mie rispetto alla sofferenza", "scelgo di non morire", ma - ahimè - la realtà ti dice ben altro, e in questo dialogo inevitabilmente ha ragione lei...
Il dolore ti getta a terra, che tu lo voglia o no; e il più delle volte non si ferma lì. Ti butta addosso tanta sofferenza da rimanerne sepolto, e fai davvero fatica a reagire. Quando poi sei buttato a terra dal dolore, sei spesso lasciato da solo, in balia delle intemperie e delle bufere della vita: anche chi cerca di starti vicino e di farti sentire la sua vicinanza è comunque travolto dalle stesse sofferenze, perché nessuno di noi vi può sfuggire. Il dolore ti trasforma: e anche quando ti sembra di avere, con fatica, dato un senso al tuo soffrire e inizi a rinascere e a dare segnali positivi, arriva l'ultima parola sulla nostra vita, quella definitiva, a falciarti (non per niente, il suo simbolo è una falce), a triturarti, a macinarti, a polverizzare la tua vita, a purificarti da tutto ciò che è superfluo; vieni impastato in questi ingranaggi del dolore che tutto triturano, trasformano, manipolano, bruciano, e ne esci... sfornato e cotto al punto giusto!
Eppure, qualsiasi pezzo di pane che esce dal fuoco di un forno e finisce, poi, sulle nostre tavole, affronta lo stesso processo "doloroso": e non per niente, Colui che "innalzato da terra attirò tutti a sé", accettò, la sera prima, di farsi pane spezzato per la nostra vita.
Non per niente, Gesù, nel vangelo di oggi, descrive il doloroso procedimento che lo porterà ad essere pane di vita proprio a partire dal mistero del chicco di frumento. Non ha certo potuto decidere, il chicco, di restare "sulle sue": come il dolore fa con ognuno di noi, anch'esso viene gettato a terra, sepolto tra le zolle, lasciato a marcire tra le intemperie dell'inverno, e quando rinasce nella spiga non può ancora dire di aver terminato il proprio percorso, perché poi arriva la falce nel momento della mietitura, e una volta raccolto viene macinato, polverizzato, purificato dalla crusca, trasformato in farina e di nuovo impastato, messo al fuoco, e finalmente ecco il pane.
Da un insignificante chicco di frumento, chiuso nella sua dura corazza, il mistero della vita e della morte, della rinascita e del dolore, della sofferenza e della prova, è capace di tirare fuori il pane della vita di ogni giorno e il pane della vita eterna. Dalla nostra vita, spesso desiderosa di "stare sulle sue" e di rinchiudersi nella corazza del proprio egoismo, il mistero del dolore e della morte è capace, dopo un lungo e meticoloso processo, di tirare fuori la fragranza di una vita condivisa con gli altri, spezzata con i fratelli, degna di essere chiamata vita proprio perché spezzata e condivisa.
Ma per fare questo, il chicco di grano deve cadere in terra e morire, e accettare che il mistero della vita lo trasformi a sua volta in vita, per tutti.
In fondo, tutto questo mistero altro non è che l'amore.