Omelia (28-03-2021) |
don Mario Simula |
Sole e tempesta L'ingresso di Gesù a Gerusalemme splende di una bellezza dolorosa. In Gesù tutto parla di amore: i tre anni attraverso i sentieri della Palestina, la sofferenza numerosa e indicibile della gente, ogni parola di tenerezza e di fuoco. Oggi entra nella Città di Dio circondato dalla gioia istintiva e mutevole della gente. Tutti acclamano. Anche i bambini fanno parte integrante della festa. Rami di ulivo e di palma, tappeti e grida, canti ed entusiasmo. E' il giorno della coralità, della celebrazione popolare. In disparte, duri e ostinati stanno, appiattati, gli avversari di Gesù. Coloro che di ogni sua parola di vita hanno fatto sempre un capo di accusa e di ogni suo gesto una ragione di condanna. Una bellezza dolorosa. Un tripudio che piange. Una lode che si fa lamento. Gesù entra nella Città di Davide ricordando il pianto dirotto e inconsolabile di qualche tempo prima quando, contemplando Sion, ne rivedeva lo splendore e l'infedeltà, la durezza e l'ostinazione. Oggi per Gesù risuona l'osanna e l'entusiasmo. Domani Gesù dovrà piegare il dorso ai flagellatori e le guance a coloro che gli strappano la barba. Dovrà sottoporsi agli insulti e agli sputi, Lui il più bello tra i figli dell'uomo. Già inizia a risuonare nel suo animo la domanda più tragica della storia, il grido più lancinante e sordo: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato". Un grido che ci investe con una turbolenza paurosa. Che sia la fine di tutto? Che sia la conferma di un'illusione? Il nostro cuore è smarrito, senza bussola né stelle che ci aiutino a comprendere verso dove stiamo camminando. Chi è Gesù di Nazareth che entra come un re nella Città dei suoi antenati? E' Dio che svuota se stesso, assumendo una condizione di servo per diventare uno di noi. E' Dio-Uomo che sceglie l'obbedienza fino alla morte e a una morte di croce. Il suo trono è la bassezza della terra sulla quale striscia come un verme. E' questa, tuttavia, l'unica "altezza" alla portata degli occhi di Dio. Risollevandolo dal disprezzo, accolto per amore, il Padre esalta il Figlio e gli dona il nome che è al di sopra di ogni altro nome. Davanti a Lui si piegherà ogni ginocchio sulla terra e sotto terra e tutti, alla fine, proclameranno: "Gesù Cristo è il Signore!". Mi sento completamente diverso rispetto a "questo Gesù", che io ho spesso confuso con il potere, col successo, con gli annunci trionfali, con l'intolleranza per difenderlo. Tutto quello che la Parola mi dice appare così strano e inverosimile da portarmi a disertare, a non avere nulla a che fare con "costui". Entro anch'io nella "compagnia" dei dodici, felici ma sempre all'erta. Troppe cose hanno sentito sul suo conto. Prima di essere coinvolti in una brutta avventura è meglio prendere le distanze. Vai a cercare "questo Gesù" dentro di te, nella tua comunità, in coloro che si dichiarano per Lui e non lo trovi. Ognuno sta a debita distanza. Meglio non compromettersi per non essere alla fine coinvolti nella mischia. Non mi rimane altro da fare che azzardare un incontro ravvicinato con Lui, senza calcoli, capiti quel che capiti. Apro, con la mia comunità, la narrazione della Passione del Signore, segnata dalla sensibilità sconcertante dell'evangelista Marco. Questi sono i miei incontri. Trovo un suo amico che ha già barattato per soldi il Maestro. Mi lascio sconvolgere dalla scena agghiacciante di chi è capace di porre a Gesù l'unica domanda insolente, soprattutto in quel momento: "Maestro, sono forse io quello che ti tradirà?". Con la risposta dolente e amante di Gesù: "Tu l'hai detto". Guardo stupito il gesto che trasforma il Pane in corpo e il vino in sangue del Signore. E li distribuisce personalmente a ciascuno dei suoi amici. Gesù fissa anche i miei occhi. Cosa vogliono dirmi? Cosa vogliono chiedermi? In quale oscurità del mio cuore si fermano? Ascolto la certezza ingenua di Pietro che si sente fortissimo come una roccia, benché fra qualche ora si piegherà come un fuscello davanti ad una donna curiosa per la sua parlata aramaica. Sto accanto ai tre prescelti a vegliare durante l'ora dell'agonia, ma mi assale il sonno pesante e un po' vigliacco di chi manca di coraggio e di amore durante la sofferenza della persona amata. Ha un bel dire il Maestro: "Passi da me questo calice". Meglio non sentire nulla. Meglio non sentire le parole di abbandono tra le braccia del Padre. Colgo, come in una sequenza senza respiro, il rotolare degli avvenimenti. Pietro che ormai ha perso i contorni dell'identità di Gesù e lo rinnega. I capi dei sacerdoti e il sinedrio che consumano la loro trama, tipica di chi ha il cuore indurito. Gli sputi e gli schiaffi, mentre Gesù diventa mitezza ferma, che non si spezza. Il governatore di Roma che ha dimenticato anche il diritto più elementare dell'Impero. Io stesso mi sento chiamato a fare la mia dichiarazione di voto: "Barabba o Gesù chiamato Cristo?". Barabba è meno scomodo davanti all'opinione pubblica. Il Maestro dell'amore appassionato, è adesso un re, per ridersene. Un re che vale soltanto una condanna che oltre ad essere crudele deve essere anche divertente. Gesù che sale verso il monte della crocifissione. Il buio all'ora del sole pieno. E nel silenzio un grido che anche oggi si rincorre, come un'eco interminabile, lungo i sentieri della storia e della vita di ogni uomo: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?". L'ultimo atto: di nuovo Gesù gridò a gran voce ed emise lo spirito. Vorrei essere il centurione, pagano e idolatra, per fare con Lui la professione di fede più ardita che l'uomo possa ricordare: "Davvero Costui era Figlio di Dio!". Quella morte rivela il Figlio di Dio, perché racchiude tutto l'Amore inaudito e pazzo di Dio. Gesù, non so dove collocarmi, nello scenario della tua passione e morte. Fosse per me, inventerei "un'ulteriore cosa da fare" per rimanere dentro la tua Città, mentre tu, ormai privo di ogni appartenenza, sei cacciato fuori delle mura e ti pieghi umile al peso del mio peccato. Decidi tu, Gesù, per me. Sono sicuro che mi dirai: "Se vuoi seguirmi, prendi la tua croce e vieni dietro a me". Gesù, ti voglio avvertire subito. Io vengo. Non so, tuttavia, come sarà il mio passo dietro al tuo. Non so se mi fermerò a prendere fiato perché la forza del tuo amore è troppo esigente. Non so se, ad un certo punto, mi avvicinerò a te e sotto voce, noncurante del tuo dolore, ti dirò: "Gesù, non ce la faccio più. Io torno indietro. Troverai qualcuno più coraggioso che arrivi con te sino alla fine!". Tu, Gesù, mi guardi con una tenerezza che mi spezza. Ti mischi con i miei sentimenti, con le paure che mi paralizzano, con tutti i ricordi brutti delle mie infedeltà. Non c'è muro che possa impedire al tuo sguardo di essere più forte di ogni opacità. Sospendo la mia preghiera. Sei tu, Gesù, che ormai preghi me: "Non riesci a vegliare un'ora con me? Non riesci a comprendere quanto abbia bisogno del tuo amore? Perché, ancora una volta, io conto meno della tua tranquillità? Cerca di comprendere come è fatto l'Amore. Non conosce ritardi, né briciole. L'Amore è tutto. Guardami, senza voltarti altrove. Io sono l'Amore. Vieni". Gesù, non guardare il rossore del mio viso. Forse inizio a capire qualcosa. Mi basta per camminare con te. Nel cuore della notte oscura Tu sei la Luce, anche per i miei occhi spenti. |