Omelia (28-03-2021)
don Roberto Rossi
Il Signore viene nella nostra città, nella nostra vita

C'è una festa molto sentita che speriamo in qualche modo di poterla celebrare anche quest'anno: la festa delle palme, in questa domenica così significativa. È bello dar lode al Signore, fare festa con Lui, sentire l'amore di Gesù, la sua presenza. Risuonano quelle parole grandi che pronunciano i ragazzi, i bambini e le folle di Gerusalemme: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna al redentore! Si ricorda così l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, accolto e acclamato. Anche noi prendiamo i rami di ulivo e li portiamo nelle nostre case in segno di benedizione, di pace, di speranza, di futuro. Come ai tempi di Noè, quando una colomba portò un ramo di ulivo per significare che si rinnovava la vita sulla terra. Come abbiamo bisogno anche noi oggi di una nuova ripresa della vita dell'umanità!
L'ulivo benedetto è simbolo di pace; lo portiamo così nelle nostre case per implorare, augurare, costruire la pace nelle nostre famiglie e nel mondo. Ricordiamo la testimonianza e il grande messaggio di pace che ha voluto vivere ed esprimere Papa Francesco nel suo ultimo viaggio In Iraq. Davvero ha espresso un accorato appello per la pace, anche con indicazioni ben precise. Cristo Gesù è la nostra pace, col suo amore, col suo sacrificio, con la sua morte e risurrezione. La liturgia delle palme ha due grandi parti: il ricordo dell'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme e successivamente presenta alla meditazione e contemplazione del popolo cristiano la passione e la morte di Gesù sulla croce. L'osanna e la croce, l'amore e la croce. La croce. Vorrei ricordare le tante testimonianze di cristiani dell'Iraq, veri martiri del nostro tempo; ricordare il loro amore, il loro attaccamento alla croce, a Gesù Cristo, morto e risorto e vivente per sempre.
Quando padre Majeed ritornò per la prima volta alla sua Qaraqosh, una città completamente rasa al suolo, e riuscì a salire sul tetto della sua cattedrale bruciata e distrutta, trovò due asce e come prima cosa compose una croce, per innalzarla ancora su quella città, per dare la certezza della fede e della speranza... Qualche tempo dopo quando i cristiani sono ritornati alle loro case, per ricostruirle, hanno costruito delle grandi croci: una all'ingresso della città come segno e simbolo del loro attaccamento a Cristo, successivamente su una collina accanto la città, una enorme croce alta più di 30 metri. Il Papa ha guardato quelle croci, ha adorato Cristo, ha espresso la sua commozione di fronte a tanta fede e tanta attaccamento. Ha detto loro: "Sono commosso per la vostra fede, abbiamo bisogno della vostra testimonianza, coraggio". Cristiani che pensando alla croce hanno imparato da Gesù il perdono: "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno", un'espressione che ho sentito continuamente da tutti, dai grandi e dai piccoli, "Padre ci affidiamo a te, siamo tuoi", "abbiamo perso tutto, ma non abbiamo perso la fede".
Nella fede hanno trovato e trovano la speranza di ricostruire la vita, le case, il futuro, il loro cammino i credenti e di testimoni nel mondo, anche in una società così difficile come la loro. Per tutti, anche per noi la croce è amore, è perdono, è forza. Possiamo vivere questa giornata sentendo che Gesù viene a noi, viene nella nostra città, come quel giorno a Gerusalemme; viene nella nostra vita, con tutto il suo amore che salva, su questa terra e per l'eternità. Come ha detto San Paolo: "Mi ha amato e ha dato tutto se stesso per me". Vorremmo avere un po' la fede e l'amore dei santi per poter comprendere e sperimentare qualcosa di questo amore infinito di Gesù, nostro Dio, sulla croce.
Ecco allora il cammino cristiano e l'impegno in questa Settimana: vogliamo contemplare il volto dolente di Cristo, il suo amore infinito ("non c'è amore più grande di chi dà la vita per la persona amata"), il significato della redenzione e della salvezza per tutti gli uomini e per ciascuno così come l'ha meritata Gesù sulla croce. Vogliamo guardare la passione di Cristo che continua oggi in tutti coloro che, innocenti, soffrono e che muoiono: essi esprimono il mistero del peccato dell'umanità che genera tutto questo male. Essi sono coloro che completano nella loro carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, per la salvezza della Chiesa e dell'umanità. Essi sono coloro che attendono la nostra carità per camminare verso la loro resurrezione, cioè la possibilità di vivere, la dignità, i mezzi per la sussistenza, la pace.