Omelia (01-04-2021) |
don Michele Cerutti |
Commento su Giovanni 13,1-15 Il rito della Messa in Coena Domini ci permette di entrare nel Triduo, che costituisce il cuore dell'anno liturgico. Con la Messa Crismale nelle Cattedrali delle varie Diocesi, questa mattina, si è chiuso il Tempo della Quaresima con il clero Diocesano e religioso che si è stretto intorno al Vescovo, il quale ha alitato lo Spirito sugli olii che serviranno per la celebrazione dei sacramenti. Con la celebrazione di questa sera siamo chiamati a vivere gli eventi mirabili dell'Ultima Cena e a rinnovare la nostra fede nell'Eucaristia che in quel cenacolo è stata istituita. Allora la nostra fede prende slanci nuovi. Il mondo non comprende questo grande dono è veramente difficile inculcare nei cristiani che quando si entra in Chiesa ci si inginocchia davanti al Tabernacolo e che tutto il resto è devozione, mentre in quella che molti considerano una semplice anta dove son conservate delle ostie, costituisce il centro del luogo sacro. I Santi ci dicono con la loro vita che soffermarsi a impetrare grazie davanti al Tabernacolo o all'Eucaristia esposta nell'ostensorio non è tempo perso. Davanti all'ostia consacrata siamo chiamati al raccoglimento e al silenzio. Fa impressione come, quando ho proposto, nella realtà in cui vivo, l'adorazione eucaristica, molti erano rimasti male perché non potevano recitare insieme il rosario pensando che allora non si prega e si perde tempo. Rischiamo di inculcare l'idea che la preghiera è costituita solo di tante parole e tante cose da fare e invece mettersi davanti a Gesù in silenzio e portare ai suoi piedi la nostra vita sembra costituire qualcosa di poco importante e per cercare di addolcire il tutto si utilizzano musiche di sottofondo. Stiamo vivendo effettivamente il tempo in cui il silenzio ci fa paura perché davanti al Signore veniamo esortati a interpellarci sulla nostra vita e allora rischiamo il disorientamento. Guardando al mistero eucaristico, aiutati dalla pagina evangelica che la liturgia ci propone, comprendiamo ancor di più la profondità di questo sacramento. Il contesto di tradimento che respiriamo in questa pagina dove non solo c'è Giuda Iscariota, ma anche dove anche si profetizza il rinnegamento di Pietro. Gesù, tuttavia, vuole perpetuare la sua presenza in mezzo ai suoi con i segni del Pane e del Vino ci richiamano a quegli alimenti essenziali per la vita dell'uomo. Colpisce come il Figlio di Dio non abbia scelto altro di più grosso e importante che un poco di pane e un poco di vino. Ci vuole dire proprio quello che abbiamo letto nell'incipit: "li amò sino alla fine". Su questo mistero sono stati scritti trattati e nel medioevo, quando la speculazione sull'Eucaristia aveva raggiunto livelli alti, Gesù stesso sorprendeva tutti nei diversi miracoli che venivano compiuti per destare il popolo di Dio e accrescere la pietà per questo sacramento, che costituisce l'apice dell'esperienza cristiana. Dall'altro lato ci viene fornito un importante lezione Gesù lava i piedi ai suoi discepoli ed esorta anche noi a fare altrettanto, a metterci a servizio l'uno dell'altro. Fa sempre bene alla mia memoria di sacerdoti imprimermi le parole che don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, consegna in questo giorno, in cui si celebra la festa del ministero istituito del sacerdozio: Forse potrà sembrare un'espressione irriverente, e l'accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio. Sì, perché, di solito, la stola richiama l'armadio della sacrestia dove, con tutti gli altri paramenti sacri, profuma di incenso, fa bella mostra di sé, con la sua seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. Il grembiule, invece, bene che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. Eppure, è l'unico paramento sacerdotale registrato dal vangelo, il quale vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del Giovedì Santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale. Stola e grembiule sono il dritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l'altezza e la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafia. Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile. Mi rendo sempre più conto che la Chiesa non cresce per proselitismo, ma in questa logica di servizio. Ne sono testimoni uomini come don Roberto Malgesini o Fra Leonardo Grasso. Non si attrae con grandi discorsi, ma con gesti e azioni concrete che parlano di testimonianza. Addentrandomi nell'icona dell'Ultima Cena colpisce come questo gesto venga compiuto dal Maestro nei confronti di Giuda, colui nel quale Satana iniziava ad operare e nei confronti di Pietro, l'uomo dei grandi slanci, ma poi dei colpi bassi. Non c'è differenza per nessuno Gesù lava i piedi di tutti. Guardando le rappresentazioni dell'Ultima Cena si è sempre colpiti dalla figura di Giuda che rimane in disparte con la sacca di soldi, mentre in quello di Leonardo, a Milano si confonde con i suoi compagni. Chissà con quale acredine il demonio ha agito su questo uomo per ordire il suo disegno. Come sempre sicuramente con ipocrisia come mette in evidenza il Cenacolo vinciano confondendosi con gli altri perché non ha voluto destare sospetti. Tutte le volte mi chiedo se anche Giuda alla fine si è salvato. Penso all'ultimo istante della sua vita quando si è appeso a quell'albero se in quei pochi istanti si sia domandato anche solo: "Ma cosa sto facendo?". Faccio mie le parole di don Primo Mazzolari, in quel Giovedì Santo del 1958 e che voglio far risuonare in questa sera di gioia da un lato e di tristezza dall'altro: "io voglio bene anche a Giuda, è mio fratello Giuda. Pregherò per lui anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno; dovrei giudicare me, dovrei condannare me. Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore. E forse l'ultimo momento, ricordando quella parola e l'accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là". Il giorno dopo, Venerdì Santo, l'arciprete, definito da Papa Giovanni XXIII, "la tromba dello Spirito Santo in terra padana", volle nella sua chiesa, accanto alla croce esposta alla venerazione dei fedeli, l'albero dell'impiccato, il patibolo del discepolo il cui peccato più grave non fu il tradimento ma la disperazione. Fatemi guardare infine a Pietro anche per lui c'è la mia simpatia certo anche lui reo sicuramente di tradimento, ma poi contrito e pentito riuscirà a comprendere l'errore. Gesù lava anche a lui i piedi e ci chiede di fare altrettanto per la nostra Chiesa di cui Pietro è il rappresentante. Facili alle critiche, ma con il rischio di farci succhiare dalle mormorazioni contro di lei. Apprendiamo questa sera lo stile del servizio nella Chiesa ponendoci a servire e a non esserne il padrone. |