Omelia (04-04-2021)
don Alberto Brignoli
Non avevano ancora compreso

"Non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti". Quando pensiamo alla resurrezione di Gesù, siamo inevitabilmente condizionati da un retaggio culturale che ci viene da duemila anni di cristianesimo; per cui, ci risulta quasi spontaneo pensare alla resurrezione come qualcosa di glorioso, di devastante, di pubblico dominio, qualcosa di fronte alla quale è impossibile opporre resistenza o legittimare dubbi, perché fin troppo evidente. Anche l'iconografia ci spinge a pensarla in questo modo, dato che da sempre le raffigurazioni pittoriche della resurrezione di Gesù ce lo mostrano gloriosamente issato sulla pietra ribaltata, con la croce e il vessillo della vittoria in mano e con uno sguardo fiero e talmente sicuro di sé da far cadere tramortite anche le guardie collocate da Pilato a custodia del sepolcro. Impossibile non credergli, impossibile - ci verrebbe da dire - non poter testimoniare come siano andate esattamente le cose.
Eppure, nessuno sa cosa effettivamente sia successo. Nessuno era presente alla resurrezione di Gesù. Nessuno lo ha visto risorgere. Qualcuno afferma di averlo visto risorto, e comunque non senza difficoltà, dal momento che tutti i racconti di apparizione dei Vangeli seguono lo stesso schema narrativo: ricerca del corpo di Gesù da parte dei discepoli, apparizione del Risorto - con l'incapacità degli occhi dei discepoli a riconoscerlo - esperienza personale di lui (attraverso una parola o un gesto), riconoscimento e, spesso, nuova sparizione. Fu così per Maria Maddalena, fu così per i due di Emmaus, fu così per i discepoli che pescavano sul lago di Galilea. Niente di più vero, allora, dell'affermazione con la quale si chiude il vangelo di questo giorno di Pasqua: "Non avevano ancora compreso che egli doveva risorgere dai morti".
Del resto, la resurrezione è un fatto, ma non è un atto; è un fatto attestato da alcune testimonianze e da alcuni segni, narrato da alcuni che lo hanno creduto e vissuto, ma non è un atto puntuale, accaduto in un momento determinato, da poter essere descritto - sia pur romanzando, come in molti scritti epici - nel momento in cui ciò avveniva. Credere alla risurrezione di Gesù, in definitiva, non è riportare un fatto di cronaca, ma è compiere un atto di fede. E come ogni atto di fede, comporta una scelta libera, che va compresa e soprattutto vissuta.
Mai come quest'anno la celebrazione della Pasqua ha l'opportunità di essere da noi vissuta come la celebrazione di un atto di fede nella resurrezione; non solo e non tanto nella resurrezione di Cristo avvenuta ai primordi della nostra era cristiana, ma anche e soprattutto in quella resurrezione che tutti siamo chiamati a vivere in questo determinato tempo storico.
Sono ancora molti, certo, i segnali di sconfitta, di dolore e di morte che da ormai più di un anno avvolgono la nostra quotidianità: ma se abbiamo il coraggio di fare un atto di fede nella resurrezione, non possiamo non scorgere segni evidenti di rinascita, di ripartenza, di ripresa, di luce che un anno fa - non foss'altro per il fatto di esser qui in chiesa, oggi - nemmeno avremmo potuto immaginare. Certo, non è una resurrezione evidente, chiara, eclatante, gloriosa, come non lo fu quella di Cristo; non è una resurrezione sotto gli occhi di tutti, come non tutti poterono assistere al ritorno alla vita di Gesù; non è una resurrezione di cui si possa dire "abbiamo compreso che stiamo risorgendo", perché sono ancora troppi e troppo evidenti i segni che "non abbiamo compreso tutto" e che "non tutti abbiamo compreso".
Perché per comprendere che stiamo risorgendo, bisogna aver compreso che abbiamo sofferto e patito, e che siamo stati schiacciati: ma non tutti lo abbiamo compreso. Per comprendere che stiamo risorgendo, bisogna aver compreso che nessuno ci può salvare senza un atto di fede nella vita, ovvero senza la nostra adesione volontaria, coerente, libera: ma non tutti lo abbiamo compreso. Per comprendere che stiamo risorgendo, bisogna aver compreso che non c'è rinascita senza sacrificio, non c'è vita generata senza un parto doloroso, non c'è fioritura che non abbia affrontato l'inverno, non c'è futuro che non sappia fare memoria del passato per renderci migliori di ciò che si era prima: ma non tutti lo abbiamo compreso, o comunque non lo abbiamo compreso del tutto.
Perché questo avvenga, e perché la Pasqua di quest'anno sia una vera e propria rinascita, dobbiamo davvero lasciarci condurre per mano dall'esperienza dei primi discepoli di Gesù, che hanno compreso che egli era risorto solo quando ne hanno fatto esperienza personale, ovvero quando si sono sentiti chiamare per nome, quando hanno visto il Signore spezzare il pane per loro come nell'ultima cena, quando hanno visto le loro reti vuote riempirsi di pesci come quel mattino, in riva al lago di Galilea.
Scopriamo e comprendiamo il Risorto se abbiamo fatto l'esperienza del crocifisso; e comprendiamo la croce se questa diventa un'esperienza personale, se questa vicenda storica ci ha toccati di persona, o se - qualora abbiamo avuto la fortuna di non esserne toccati personalmente - ne abbiamo fatto esperienza toccando con mano il dolore dei nostri fratelli, di chi ci sta vicino, della nostra società e dell'umanità intera, colpite fin troppo duramente da qualcosa che, per quanto violento e devastante possa essere, non ha comunque l'ultima parola sulla nostra vita. E la resurrezione di Cristo ne è la prova e la promessa.
Ma in questa vicenda, per poter comprendere, occorre avere la pazienza e la costanza di starci dentro. Anche se costa.
Del resto, s'è mai vista una cosa preziosa, un gioiello di valore che non costi parecchio? E finora, personalmente, non ho trovato nulla che abbia più valore di una vita che sconfigge la morte.