Omelia (11-04-2021)
don Mario Simula
Cercatore di senso e di prove

Sento molto vicino e amico Tommaso il "non credente" di Pasqua.

E' il fratello col quale condivido la ricerca faticosa e quotidiana di chi vuole dare senso alla propria esistenza, partendo dal misterioso enigma della "tomba vuota".

Assieme a lui mi sembra di essere sempre "un credente della soglia", che ha paura di entrare nel buio di quel sepolcro.

La mia fede è difficile, piena di domande, ansiosa di risposte chiare e certe. Come se volessi un dono esente da prezzo.

Quando il Signore viene io non ci sono mai. Sarà per la volta successiva. E' sempre per la volta successiva.

Non sopporto che "venga a porte chiuse", senza bussare, senza preavvisi.

Il fatto che venga quando non te lo aspetti mi indispettisce. Non è giusto che Gesù venga quando io non sono presente.

Rischio di trovarmelo davanti senza riconoscerlo.

Ho sempre bisogno di vedere le sue mani e l'impronta dei chiodi. Ho sempre bisogno di mettere il mio dito nell'impronta dei chiodi e di mettere la mia mano dentro la piaga infinita del suo fianco.


Se non vedo e non tocco, se non ci metto le mani, non credo. Gesù poteva aspettare che io fossi presente per farsi vedere!

Quante volte perdiamo gli appuntamenti della vita con Dio e andiamo a cercarlo, con rammarico, quando è già passato.

Mi rifiuto, comunque, in questo passaggio di fede, di accettare soltanto di fidarmi. E' troppo per la mia incredulità.

Non mi arrendo ad una fede costruita soltanto sulla testimonianza degli altri discepoli. Non mi arrendo ad una fede che si fonda sull'annuncio, su quella Parola che salva: "Abbiamo visto il Signore!".

Sì. Va bene. Ma io non l'ho visto.

Come Tommaso ho bisogno delle prove fondate sulla mia certezza esperienziale. Quella degli altri non mi basta.

Mi rendo conto che sono fatto così, che sono fondamentalmente un incredulo: "Se non vedo, se non tocco e se non sento con le mie mani, non credo".

Otto giorni dopo avviene la grande svolta. Rassomiglia a quei sommovimenti che mettono a nudo la nostra esistenza e ne rivelano la povertà più estrema e spietata. Una povertà che, se ci penso bene, è anche una grazia inestimabile.

Sembra che Gesù venga per Tommaso, l'assente incredulo della prima volta. Viene ancora di nuovo a porte chiuse. Non è più un problema. Ormai il Signore sa che dietro la nostra incredulità si cela una implorazione accorata e amante: "Credo, Signore! Aiuta la mia incredulità".

Gesù viene per soccorrere l'incredulità di Tommaso. La mia incredulità. La nostra incredulità.


Viene e ci parla direttamente, fissando i nostri occhi smarriti.

Viene come madre premurosa che vuole prenderci per mano per condurci lungo le vie impervie delle nostre esitazioni e delle nostre domande.

Con delicatezza sa mettere insieme il nostro bisogno di fare esperienza e di toccare con mano, e le esigenze della fiducia e dell'abbandono in Lui senza riserve.

Vuole insegnarci la beatitudine di una fede che si affida, che si fida, che ascolta, che accoglie la Parola.
"Porta il tuo dito qui e vedi le mie mani, porta la tua mano e mettila nel mio fianco e non essere incredulo ma credente".


Io, povero Tommaso di oggi, non posso fare altro se non dare voce alla professione di fede più sincera e vera, affettuosa fino alle lacrime: "O mio Signore o mio Dio!".

C'è tutta la mia vita in queste parole. Anche quella parte della vita che le domande hanno spesso reso oscura e i tentennamenti hanno trasformato in percorsi di paura e di solitudine.

Gesù, il Signore, è davanti a me. E' sceso al mio livello di incredulo. Non ha rifiutato il mio bisogno di vedere e di toccare, ma ha saputo darmi il più grande insegnamento per la mia vita. Mi ha indicato la strada della beatitudine totale e felice: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto? Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto".

Da oggi in poi una comunità che ama, che mette insieme la fede e tutti gli altri beni, sarà il grembo della mia certezza di fede. Il nostro amore per Gesù, diventerà la nostra incrollabile fonte di fiducia.


Gesù, quante volte sei venuto silenzioso davanti alla mia porta e hai provato a spingerla. Tutto sbarrato. L'avevo chiusa col chiavistello dall'interno.

Tu, Gesù, sei passato oltre. Poi sei ritornato per farmi vedere e toccare le tue piaghe infuocate di amore.

Hai trovato un amico risentito. Offeso. Soltanto perché dentro il mio cuore dormivo e cercavo le prove facili per credere in te.

Gesù, quando ho creduto di averti perso, Tu, dolcissimo Amato del mio cuore, mi hai svelato non soltanto il segreto rovente delle tue piaghe amorose, ma quello ancora più beatificante di una fede senza condizioni.

Mi hai aiutato a capire che chi ama si fida. Chi ama si abbandona. Chi ama crede sulla Parola. Chi ama cerca e ancora cerca, ma con un altro desiderio dell'animo.

Oggi e ogni giorno mi dai, con tenerezza, la tua lezione di fede semplice, senza contorsioni della mente. Mi regali la beatitudine di chi si perde tra le tue braccia e nel tuo cuore e continua a dirti: "Che io ti conosca, che io ti ami, che io ti segua".

Sono certo che anche nelle notti oscure, quando sembra che Tu ti sia allontanato e mi abbia abbandonato, stai soltanto vigilando sulla mia vita e sul mio amore.

Tu, Gesù, non vuoi altro se non che l'amore vinca sempre sulla tempesta e sulle tenebre.

Non vuoi altro che mi nasconda nelle tue piaghe non per paura di perderti, ma per avere la certezza che ci sei, anche quando non ti sento.