Omelia (11-04-2021) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Fedeltà al dono dello Spirito Il libro degli Atti degli Apostoli, che ci verrà ancora proposto in queste settimane, ci parla di una comunità cristiana ormai padrona di sé, cosciente della sua origine, del suo scopo e del suo obiettivo. Così manifesta di essere attraverso la sua missione e la sua organizzazione interna, che denotano in essa il contrassegno dello Spirito del Risorto. La Chiesa infatti è una "comunione" di persone che, sia pure conservando ciascuno la propria peculiare individualità, si edificano l'un l'altro vicendevolmente, donandosi gli uni agli altri e condividendo ogni cosa affinché tutto il Corpo tragga beneficio e allo stesso tempo a ciascun elemento non manchi nulla. Il testo parla già da solo: "La moltitudine di essi avevano un cuor solo e un'anima sola..." Tutto viene condiviso e ripartito non in senso distributivo o comunistico, ma provvedendo che a ciascuno venga concesso secondo le sue necessità, quindi non senza omettere attenzione e carità obiettiva sia nei confronti della compagine dei fratelli sia verso ciascuno di essi preso singolarmente. E in questo stile di vita tutti si rallegrano e perseverano. Nel capitolo successivo di parlerà di un atto di doppiezza e di falsità, che determinerà il rovescio della medaglia (qualcuno venderà un terreno e terrà per sé tutto il ricavato), però si tratta di una delle eccezioni inevitabili in un contesto di vita associata. La Chiesa vive in ogni caso la sua comunione e la sua condivisione senza limiti e senza riserve. Uno stile di vita consimile non può che essere irrogato dallo Spirito Santo, che a Pentecoste inizia a infondere i doni del Risorto, facondo in modo che Questi non soltanto sia presente in mezzo ai suoi discepoli, ma che continui in loro la sua missione di guida e di sostegno della comunità. Lo Spirito è infatti lo Spirito Santo che aveva condotto Gesù nella sua vita prima della morte di croce e che Gesù stesso aveva consegnato al Padre al momento della sua spirazione. Lo Stesso Spirito che Gesù, alitando su di essi, infonde sugli apostoli riuniti nel cenacolo il primo giorno della settimana con il quale Gesù rende i suoi discepoli ministri della riconciliazione e del suo perdono; lo stesso Spirito che poi effonderà il giorno di Pentecoste sugli apostoli riuniti nel cenacolo. Da allora in poi la Chiesa si sentirà spronata all'annuncio del messaggio di salvezza e motivata nella sua consolidazione interna. Lo stesso Spirito Santo è però spento e non può avere efficacia in noi quando ci precludiamo alla sua azione e mostriamo refrattarietà si suoi doni, recalcitrando di fronte al Dono più grande che è il Figlio di Dio Risuscitato. Cosi avviene a proposito di Tommaso, che si ostina a non credere nella parole dei suoi fratelli quando gli riferiscono di aver visto il Signore vivo e presente, nonostante i pregressi della sua morte di croce. Manca di fede, cioè di sensibilità e di apertura al Mistero e alla sua gratuità intrinseca. Vuole comprovare, avere esperienza diretta, toccare con mano e probabilmente crede di essere vittima di uno scherzo o di un raggiro. Si racconta che San Tommaso D'Aquino, raccolto come sempre nelle sue speculazioni teologiche e filosofiche, fosse interrotto una volta dai suoi studi dai confratelli Religiosi che con enfasi lo chiamarono: "Vieni, c'è un asino che vola!" L'Aquinate corse in fretta alla finestra, ma ovviamente non vide nulla di quanto gli avevano detto. I confratelli allora lo canzonarono e lo derisero, ma lui con calma osservò: "E' meglio credere che un asino voli, piuttosto che dei Religiosi dicano bugie". Non si fondò sulla fede come virtù teologale, ma sul buonsenso e sulla sua bontà di fondo. Diverso è qui l'atteggiamento del Tommaso Apostolo che mostra refrattarietà a un dato di fede, omettendo di considerare che i suoi confratelli non avrebbero mai avuto motivo di mentire: si ostina a non credere e a voler fare esperienza diretta. Usa irriverenza nei confronti dello Spirito che vuole renderlo beneficiario del dono della fede, che è il "fondamento delle cose che si sperano, prova di quelle che non si vedono. C'è infatti chi si mostra freddo e chiuso al vigore innovativo dello Spirito, facendo opposizione a che Questi tutto possa fare a nostro vantaggio; si vuole obiettare come se a determinare i criteri di verificabilità fossimo solo noi stessi; si tende a illanguidire la carica di onnipotenza divina, con la pretesa di credere solo a modo nostro o secondo nostre condizioni. A dire il vero, non possiamo colpevolizzare di questo il solo Tommaso, poiché in altre circostanze anche gli altri apostoli avevano mostrato lacune non dissimili quanto al credere e al lasciarsi coinvolgere. Colpevole è piuttosto una certa mentalità sofista per la quale ci si vuole ostinare alla preclusione e si escludono le ragioni del cuore, chiudendosi alla libertà e alla personale apertura. Si vuole credere solo in conseguenza di rilevanze oggettive, secondo uno slogan di un mobilificio degli anni '80: Provare per credere. Ma di fronte alla gratuità del dono del Risorto occorre procedere in senso opposto; occorre cioè credere, cioè aprirsi, accogliere, accettare e soltanto successivamente bizantineggiare e verificare. Come dice Paolo la fede deriva dall'ascolto di un annuncio proferito da qualcuno e allora occorre mettersi all'ascolto per poi concedersi nient'altro che al dono gratuito e spontaneo che lo stesso Signore fa di se stesso. Siamo invitati a cercare la radicalità della fede al di fuori della verificabilità e della sperimentazione; semplicemente ad affidarci e ad accogliere per trarre da questa esperienza la consolazione al presente e la salvezza nel futuro. Essere così docili e disinibiti allo Spirito Santo per poter trarre dalla fede i doni stessi dello Spirito. |