Omelia (18-04-2021)
fr. Massimo Rossi
Commento su Luca 24,35-48

Eccoci ancora una volta nel cenacolo, ove gli Undici erano asserragliati per paura dei Giudei; insieme con loro ci sono anche i due di Emmaus, appena rientrati a Gerusalemme, e stanno raccontando di avere visto il Risorto e di averlo riconosciuto nel gesto (eucaristico) di spezzare il pane a tavola.
Improvvisamente Gesù si fa presente, gettando nel panico più totale quegli uomini, ancora spaventati per il dramma di due giorni prima. Cronaca di una morte annunciata, avrebbe detto lo scrittore colombiano García Màrquez...
Ma, si sa, non c'è più sordo di chi non vuol sentire... E nessuno avrebbe mai messo in conto una fine così per il Maestro di Nazareth. Eppure c'erano le profezie di Isaia e di altri profeti, i quali avevano annunciato la sofferenza del Servo di Dio... Verrebbe quasi da chiedersi: a che servono le profezie, se poi, quando si realizzano, nessuno se ne ricorda, nessuno se ne accorge?

"Il Cristo doveva soffrire...": anche Pietro, nel discorso pronunciato agli abitanti di Gerusalemme, il giorno di Pentecoste, ribadisce che il destino di Cristo era segnato, le SS.
Scritture lo avevano annunciato. Ora lo sapeva! Ora tutto era chiaro! il Risorto aveva aperto la mente alla comprensione delle Scritture, laddove alludono alla Passione.
Ma c'è un fatto ulteriore, che il Signore rivelò agli Undici, e che i testi antichi non riportavano; questo sì, fu un vero e proprio scoop! "Nel nome di Cristo saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo - conclude Gesù, rivolgendosi agli Undici - voi siete testimoni." (Lc 24,48).

Ecco, a questo serve la Chiesa!
E fino a quando ci sarà un solo uomo che non conosce Cristo, la Chiesa continuerà ad esistere! Dunque, vocazione della Chiesa è annunciare il Vangelo. Naturalmente, non si può annunciare il Vangelo se non lo si conosce; e non si può conoscere davvero il Vangelo se non lo si vive fino in fondo. È l'esperienza che rende sapienti, quanto al Vangelo...
Lo studio, la competenza intellettuale sono necessari, ma non sono sufficienti; ci troviamo di fronte alla Parola di Dio, a Dio stesso che parla attraverso la Sua Parola. Non è forse questo che diciamo, durante la liturgia della Parola, ogni volta che termina la lettura di una pagina della Bibbia? "È Parola di Dio."; e l'assemblea risponde: "Rendiamo grazie a Dio.".
Anche la prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, insiste sulla capacità di riconoscere il Cristo, alla luce delle Scritture; non parla tuttavia di conoscenza, ma di ignoranza; comunque la sostanza non cambia. Il principe degli Apostoli rinviene il motivo dell'uccisione del Messia per mano dei Giudei, nel fatto che costoro avevano agito per ignoranza, il che attenua in parte la responsabilità dei mandanti e di coloro che materialmente eseguirono la condanna.
E Pietro esorta costoro a convertirsi, cambiando vita, per ricevere il perdono dei peccati.
A voi che ascoltate, io dico: convertitevi, convertiamoci per ottenere in dono la riconciliazione e il perdono dei peccati!

Non può finire tutto la sera di Pasqua! non può restare chiuso in un libro sacro, talmente sacro - cioè separato - che nessuno lo apre, nessuno lo legge, nessuno lo studia....
Figurarsi se si prova a viverlo.... esclusi i presenti, ovviamente!
E così ci si ritrova ogni domenica a ripercorrere le tappe della salvezza, ma queste tappe rimangono quelle della Bibbia, non diventano le nostre!...lo diventeranno mai?
Quante volte ci siamo ricordati gli uni gli altri che la salvezza non è un vestito pronto per essere indossato dopo la morte....Mi vengono in mente le confidenze di alcuni confratelli, ma anche dei fedeli: "Per il mio funerale ho già preparato tutto: il vestito che mi metteranno nella cassa, la foto che utilizzeranno per il ricordino da morto,... addirittura l'epitaffio da far scrivere sulla lapide,... manca solo la data."... Che persone previdenti! Chapeau!!
Giusto pensare al proprio funerale. Ma al dopo? cioè, al prima? In una parola: alla salvezza?

La Salvezza. Dobbiamo capire bene di che cosa si tratta: comunemente si pensa alla salvezza come ad un intervento improvviso, a un atto puntuale, magari in extremis, con il quale un terzo - conosciuto, o sconosciuto, non ha importanza; chiamatelo Superman, Spiderman, Tarzan,... - corre in nostro aiuto, ci afferra al volo e ci porta in salvo.
È vero, la salvezza viene dal Signore, non possiamo darcela da noi....
Ma è altrettanto vero che, senza il nostro personale contributo, senza la nostra collaborazione, la salvezza rimarrà sempre un evento estraneo a noi, e non ci toccherà.
E questo lo dico in nome della libertà che ci è stata data, insieme con la volontà e l'intelletto, per essere autori, oltreché protagonisti, della nostra vita, presente e futura.
Secondo il quarto Evangelista, la libertà è il fine del Vangelo: al capitolo 8, nel contesto della polemica scoppiata tra Gesù e i Giudei in occasione della moltiplicazione dei pani e della conseguente catechesi sul pane di vita, il Figlio del falegname dichiara che chi diventa discepolo di Cristo conoscerà la verità e la verità lo farà libero (cfr. Gv 8,32).
Si pone dunque una singolare relazione tra verità, libertà e salvezza.
Chi pensasse che seguire la fede riduce il credente in schiavitù del Libro sacro, della Chiesa, dei preti, non conosce le Scritture e non ha capito niente di fede cristiana!
Noi, queste benedette Scritture le conosciamo, non per sentito dire, ma per averle lette dall'inizio alla fine; e non solo le abbiamo lette; le viviamo pure!