Omelia (18-04-2021) |
don Giacomo Falco Brini |
Le piaghe "spiegate" nelle pieghe della vita Anche il vangelo di Luca, come quello di Giovanni domenica scorsa, mette l'accento sulla fatica dei discepoli a credere nella resurrezione di Cristo. Persino in un'atmosfera più rasserenata, come quella che probabilmente si stava generando a Gerusalemme nel raccontarsi reciprocamente le esperienze di contatto con il Risorto (Lc 24,33-35). In questa riunione dove comincia ad affacciarsi la fede nei cuori, Gesù appare in mezzo a loro annunciando la pace. Ed è veramente singolare che proprio mentre comunica la sua pace in presenza, i discepoli reagiscano invece sconvolti e pieni di paura, perché credevano di vedere un fantasma (Lc 24,37). Dio si manifesta per donare la sua pace, l'uomo risponde con la paura. Perché? Cosa c'è nel cuore umano che non permette di vedere subito la realtà? Perché sembra opporsi al dono della pace? Intanto ci farà bene pensare, provando a calarci nei panni dei primi discepoli, cosa significa aver visto con i propri occhi qualcuno che è morto, e non molto tempo dopo rivederlo in carne e ossa. Forse che anche noi non saremmo spaventati? Nessuno ha mai visto un morto ritornare in vita. Una cosa è certa. La paura che ci abita non permette di vedere bene la realtà, perché la deforma. Una volta, durante un corso di esercizi spirituali, ebbi una notte piuttosto agitata nell'alloggio a me riservato. Mentre dormivo ebbi un incubo e, in situazione di "dormiveglia", vidi davanti a me un uomo entrare dalla finestra di fronte al mio letto. Per la paura mi sono paralizzato aspettandomi un'aggressione. Invece non successe niente perché non c'era nessuno, e così mi riaddormentai. Però al mattino mi accorsi per la prima volta che appena fuori quella finestra c'era un albero che protendeva i suoi grandi rami verso i vetri. Di notte, al buio, con la paura innescata dal brutto sogno, poteva sembrare una persona che stava entrando da quella finestra. Solo nella pace di un cuore riconciliato l'uomo ci vede e ci sente bene, e quindi può percepire la realtà per quello che è. Se vive nelle sue ferite o nella paura, la percepisce in modo distorto. Le stesse parole umane arrivano così alle nostre orecchie. Quante clamorose incomprensioni, fraintendimenti, sfiducie, dietrologie e tanto altro si generano nelle relazioni, quando le paure o le ansie la fanno da padroni nel cuore. Infatti l'uomo, normalmente, vede quel che vuol vedere e sente quel vuol sentire. Gesù è il sapiente medico che può curare i problemi interiori nascosti nelle pieghe della nostra storia. Le sue domande sempre volte a metterci in contatto con i nostri dubbi e le nostre paure, sono principio di liberazione e di pace (Lc 24,38). Se si nega o si nascondono dubbi e paure, si attiva la loro forza condizionante. Notate come l'opera di guarigione/convincimento dei discepoli da parte del Signore, si fondi sulla esposizione delle proprie piaghe corporee (Lc 24,39-40). L'insistenza del mostrare mani e piedi con l'invito a toccarlo, ci rivela che la strada per "capire" ed entrare nel mondo della resurrezione è obbligata: bisogna toccare le piaghe, i dubbi e le paure della propria anima, bisogna esporle alla luce di Colui che, senza giudicarci, ha il potere di farci risorgere con Lui, perché quelle piaghe le conosce molto bene. Le ha portate nel suo corpo. Perciò invita i suoi a guardarle attentamente. Credere che esse sono il canale della mia salvezza, il luogo dove si conosce Dio, è semplicemente stupefacente, tanto da far esitare ancora la fede (Lc 24,41). E il Signore interviene ancora amorevolmente. Come? Facendosi ancora bisognoso. Una porzione di grigliata di pesce da gustare aiuta i discepoli a credere in Colui che è risorto nel suo vero corpo (Lc 24,42-43). Dove sta l'inghippo in cui tutti ci complichiamo? Nel mistero della sofferenza. Le piaghe mostrate da Gesù sono l'esegesi corporea corretta di cosa sia per Dio la vita umana, e cosa deve essere anche per noi: gli siamo costati la vita, allora siamo molto importanti! Ma noi vorremmo eliminare la sofferenza dalla nostra vita. Non è questione di cercarla, ma di accoglierla quando inevitabilmente si presenta nella nostra storia: Gesù sarà lì con noi. Ultima osservazione. Quello che il Signore voleva spiegare ai discepoli con la sua parola, lo ha spiegato prima con le ferite del suo corpo. Se ci vogliamo capire qualche cosa di Dio, dobbiamo partire sempre dalle ferite della nostra storia. Poi ha ricordato ai presenti (ricordare=riportare dentro il cuore) che gli uomini a cui Dio parlò in passato, hanno scritto le cose che lo avrebbero riguardato, e che queste cose erano necessarie (Lc 24,44). In questa memoria, si aprono le menti all'intelligenza divina delle Scritture. Le apparizioni di Gesù Risorto sono finite, ma non il contatto con Lui. Nella memoria delle ferite e in quella delle Scritture lo trovo vivo, sempre fedele al mio fianco. |