Omelia (25-04-2021) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Giovanni 10,11-18 "Noi, fin da ora siamo realmente figli di Dio; per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto Lui.": la seconda lettura, tratta dalla I Lettera di Giovanni ce lo ricorda, nel caso ce lo fossimo dimenticati... È una dignità altissima, la più alta che si possa immaginare!...anzi, non si può neanche immaginare! E che non si possa immaginare l'elevatezza dei figli di Dio, lo prova il fatto che - cito ancora Giovanni - "il mondo non ci conosce"... Per coloro che non conoscono il nostro Dio, quello che Gesù ci ha rivelato, morendo sulla croce e risorgendo il terzo giorno, i cristiani possono tutt'al più sembrare degli ingenui, oppure, all'opposto, soggetti in pieno delirio di onnipotenza... "Ma chi si credono d'essere questi cristiani? figli di Dio?"... Non è facile portare con dignità il nome di cristiano: per la cronaca, il termine fu ‘coniato' ad Antiochia, come spregiativo, attribuito a coloro che si erano convertiti alla predicazione di Paolo. Non è facile reggere l'ostilità del mondo che non conosce Dio e, di fronte al quale i Cristiani non appaiono certo sotto una buona luce. Anche i cristiani sono uomini... anche noi siamo uomini e donne; anche noi subiamo il fascino del mondo; anche noi abbiamo bisogno di sentirci accolti, riconosciuti, accettati dalla gente, forse prima che da Dio. Perché la gente ci vive accanto! Dio, non si sa... cioè, sì, ma non si vede, non si sente, non si tocca e non ci tocca... Ecco, allora la tendenza, facile, ad omologarci, per essere come gli altri. Questo aspetto è particolarmente sentito dai giovani, i quali fanno forse più fatica a tenere duro quanto alla fede, circondati come sono da amici e coetanei, i quali non credono, non pregano, non frequentano, etc. etc. I giovani cristiani si sentono spesso emarginati, poco stimati, voci che cantano fuori dal coro, una canzone che non interessa a nessuno, che annoia, quando non addirittura urta la sensibilità scanzonata e un po' frivola tipica dell'adolescenza e non solo... E così l'esercito dei cristiani - no, esercito è una brutta espressione, evoca le crociate... -, il partito - neppure, il partito cristiano non esiste più... -, la comunità - sarebbe il termine più appropriato, ma fa rizzare i peli a molti cristiani che non si sentono integrati in alcuna comunità, e per i motivi più diversi... -. Insomma, I "CRISTIANI e basta" hanno poca incidenza sociale, perché forse - dico, forse - hanno poca stima di sé "in quanto figli di Dio", senza enfasi, senza orgoglio, né sicumera bacchettona... E, lo sappiamo, una scarsa autostima penalizza il coraggio, mortifica lo slancio, soffoca l'audacia dell'annuncio. La pandemia non ha certamente giovato; al contrario, rischia di spegnerci come quello stoppino dalla fiamma smorta, di cui parlava Gesù, citando Isaia (cfr. Mt 12,15-21). Fortuna che il Signore non è, anche Lui, contro di noi! anzi, il Suo Spirito è fuoco che accende! Aspettiamo dunque una nuova Pentecoste, che riattizzi, che rinfocoli, ma anche consoli, confermi, sostenga, accompagni il cammino di fede, che abbiamo scelto e che, tra mille difficoltà, e non poche delusioni, portiamo avanti. Il Vangelo di questa IV domenica di Pasqua è il famoso passo del Buon Pastore; il legame tra il pastore e il gregge è un legame di mutua appartenenza: non solo le pecore sono proprietà del pastore, ma anche il pastore è tutto delle pecore, fino a donare se stesso, affinché possano vivere, prosperare e aumentare di numero. Vorrei avere più tempo per riflettere insieme con voi sul senso di appartenenza, questo aspetto così importante per la vita di ciascuno. Nessun uomo, nessuna donna, per quanto evoluti, maturi e autonomi, possono vivere da soli. Siamo stati creati per vivere insieme! Sintomo di civiltà è l'aggregazione sociale, libera e organizzata, che persegue fini non individuali ma comuni, e punta a raggiungere beni non individuali, ma comuni. Il rispetto di sé va moderato con il rispetto degli altri,... ma intuisco fin da subito che questo discorso potrebbe condurci lontano dal Vangelo. Restringiamo pertanto le coordinate del discorso all'appartenenza cristiana. ....Avverto un senso di fastidio... quel disagio citato poc'anzi, a proposito di tutto ciò che richiama la comunità cristiana, l'identità cattolica, con tutte le sue regole, i suoi vincoli, i doveri, l'obbedienza, la disciplina e, perché no, anche l'omologazione che discende dall'appartenenza e ne garantisce l'identità. Ma così ragionando, si rischia il cortocircuito: da una parte i cristiani si sentono emarginati, minoranza oppressa in/da una società laicista e ormai ostile, o peggio, indifferente ai valori cristiani; dall'altra, molti cristiani sono convinti che la fede si possa vivere in forma privata, senza appartenere ad alcuna struttura, né organizzazione ecclesiale, in nome di quella (presunta) libertà che mette al sicuro da diktat, dogmatismi, gerarchie, manipolazione delle coscienze,... tipiche di un passato non così lontano. Senonché, rifiutando di appartenere ad una comunità - si tratti di parrocchia, o di movimento, o di associazione - noi rifiutiamo Cristo! Il "Credo" che recitiamo ogni domenica contiene anche l'adesione esplicita e solenne alla Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Con quale coscienza, con quale convinzione, con quale fiduciale abbandono, recitiamo queste parole? Non è possibile aderire a Cristo uscendo della Chiesa! Prima che un dovere, l'appartenenza è un diritto vitale inalienabile! Pensiamoci seriamente e mettiamo a disposizione le nostre capacità per un bene che va oltre l'orizzonte individuale; sapendo che la verità dei carismi personali è riconosciuta e accreditata dallo Spirito Santo; e lo Spirito Santo anima la Chiesa, si incontra nella Chiesa, si attinge dai sacramenti che si possono ricevere solo nella Chiesa e in comunione con la Chiesa. Continueremo la riflessione, se vi farà piacere, Domenica prossima. |