Omelia (25-04-2021)
padre Paul Devreux
Commento su Giovanni 10,11-18

"Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore".

Il buon pastore fa del bene, il mercenario, quando ha paura di rimetterci, abbandona il gregge. Il lupo fa del male, perché rapisce le pecore per usarle, poi le abbandona.

Io chi sono?

Gesù è buon pastore, perché non ha paura di rimetterci.

Io sono più come un mercenario, perché aiuto volentieri, ma non intendo rimetterci più di tanto. E prego il Signore di aiutarmi a non essere lupo, perché a volte posso anche fare del male, senza rendermene conto.


"Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore".

La conoscenza di cui parla Gesù, è una conoscenza intima, profonda. Come il Padre e il figlio si conoscono, cosi lui conosce me, e desidera che anche io conosca lui.


"E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore".

Con questo discorso Gesù annuncia che desidera essere un pastore universale, non solo per Israele o i cristiani.

"Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio".

Solo un Dio può fare questo. Noi la vita possiamo provare a darla una volta sola e abbiamo paura di farlo. Lui può donandoci la vita, ma può anche riprendersela, per poter ricominciare a darcela, all'infinito; tant'è vero che continua a farlo.

Ma quand'è che Gesù mi dà la sua vita e come? Con il perdono. Per riuscire a vederlo posso cominciare col ringraziarlo del dono della vita; se mi rendo conto che la vita è un dono e non una cosa mia.

Ma è soprattutto quando sto male e ho bisogno di prendermela con qualcuno, criticando, accusando, giudicando, pur di sfogarmi; e lì che posso capire come Gesù è disposto a darmi la sua vita. Quando diciamo che Gesù prende su di se il peccato del mondo, vuol dire che si prende il male, anche il mio. Si tratta di una cosa molto concreta, ma non è scontato capirlo. La via più semplice è quella di prendermela direttamente con lui, invece di sfogarmi sugli altri o di tenermi tutto dentro. Se non ho la libertà di farlo è segno che ne ho paura o che non ho nessuna confidenza con lui. Fateci caso: le persone che trattiamo più male sono quelle che ci vogliono più bene, perché siamo sicuri che non ci chiuderanno la porta in faccia: per esempio i genitori, e Dio è quello che ci vuole più bene di tutti.

Il Signore ha le spalle grosse. Se desidero conoscerlo, la via è proprio quella di domandargli di prendere su di se il mio peccato. Concretamente lo fa lasciandosi accusare e condannare per il malessere che vivo. Se mi metto davanti alla croce e gli consegno le mie sofferenze, anche con violenza e rabbia, scopro che se le prende e mi ridona la pace. E' così che nasce la preghiera autentica, non più devozionale. Il Signore desidera avere un rapporto autentico con noi. Gesù è sempre pronto a risalire in croce, ogni volta che glielo chiedo. Sempre pronto a condividere il nostro malessere, come fece con i due ladroni in croce.

Gesù è il buon pastore, capace di perdonarci e di aiutarci. Più prendo coscienza di quante volte l'ho fatto, più capisco quanto mi ama.

Io sono contento di avere un pastore così.