Omelia (25-04-2021)
mons. Roberto Brunelli
E' la domenica del buon pastore

La pastorizia, dalle nostre parti, è quasi scomparsa, sicché quando gli scritti antichi parlano di gregge e di pastori fatichiamo a comprendere il discorso nella sua reale dimensione. E' il caso del vangelo di oggi (Giovanni 10,11-18), che è parte del discorso in cui Gesù si paragona a un pastore impegnato a guidare un gregge, il gregge in cui è facile riconoscere l'insieme dei suoi seguaci.
Il brano comincia con una distinzione tra coloro che conducono il gregge al pascolo. Ci sono i mercenari, cioè quanti lo fanno di mestiere, interessati soltanto allo stipendio; a loro non importa delle pecore, e se un lupo le assalta se la danno a gambe, abbandonandole alla loro sorte. Io non sono così, dice Gesù: io sono il buon pastore, che ha cura delle pecore, le guida ai pascoli migliori, le protegge e le difende sino a dare la vita per loro.
Così egli preannuncia velatamente la propria morte e risurrezione: "Io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo". Per non dimenticare che siamo nel tempo pasquale, durante il quale si prolunga la celebrazione della morte e risurrezione di Gesù.
Ma a proposito del gregge Gesù esprime anche altri due concetti di grande rilievo. Anzitutto, la familiarità con loro: "Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me".
Nel linguaggio biblico, il verbo conoscere non ha il significato un po' banale che gli si dà oggi; noi diciamo di conoscere qualcuno che ci è stato semplicemente presentato, o che abbiamo incontrato qualche volta; qualcuno di cui sappiamo l'esistenza, ma con cui non abbiamo rapporti abituali. Nella Bibbia invece il conoscere implica intimità e reciproca fiducia; è la parola usata di solito per indicare il rapporto coniugale: "Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì..." (Genesi 4,1); "Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù", annuncia l'angelo a Maria, la quale risponde: "Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?" (Luca 1,31-34). Quando dunque Gesù dice: "Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me", si intuisce quale profondità presenti il suo amore per noi, e con quale profondità egli si aspetti di essere ricambiato. Sta qui il "segreto" di chi, consapevole e disponibile, ha trovato il senso autentico della propria esistenza e ne fa un capolavoro, come si manifesta nei santi, quelli noti e i più numerosi che solo Dio conosce.
L'altro concetto da non trascurare nel passo evangelico odierno riguarda la composizione del gregge e il suo futuro: "E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore". Il significato immediato della frase è da intendere nel fatto che Gesù ha dato la sua vita non solo per il popolo d'Israele ma per tutti i popoli, come peraltro risulta dal suo mandato agli apostoli: "Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura" (Marco 16,15). Ma appare ovvio anche un secondo significato: egli non ammette divisioni tra i credenti in lui. Di qui il duplice impegno della Chiesa oggi: quello missionario, e quello ecumenico; annunciare il vangelo, e operare per l'unità tra i cristiani.
Dal fatto poi che egli ha dato incarico a qualcuno di annunciare il vangelo e in suo nome reggere la comunità di chi lo accoglie, deriva la cura che ci siano sempre cristiani disponibili ad assumersene l'onore e l'onere, prendendo da lui l'esempio e cercando al meglio di imitarne le modalità. Per questo, la "domenica del buon pastore" è anche la giornata di preghiera per le vocazioni, peraltro in obbedienza a un invito esplicito: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone, perché mandi operai nella sua messe". Ne mandi quanti ne occorrono, e di qualità.