Omelia (25-04-2021) |
don Lucio D'Abbraccio |
Cristo Buon Pastore Ogni anno, nella quarta domenica di Pasqua, il capitolo 10 del Vangelo di Giovanni ci invita a guardare a Gesù, pastore buono. Questa domenica, infatti, è chiamata «la domenica del Buon Pastore». Il motivo lo si capisce subito ascoltando il brano evangelico dove appunto Gesù dice: «Io sono il buon pastore». L'immagine di Cristo Buon Pastore conquistò il cuore dei cristiani. Le più antiche rappresentazioni di Gesù nelle catacombe e nei sarcofagi, lo ritraggono nelle vesti del pastore che porta sulle spalle la pecorella ritrovata. Per capire l'importanza che ha nella Bibbia il tema del pastore, bisogna rifarsi alla storia. Israele fu, all'inizio, un popolo di pastori nomadi. In questa società, il rapporto tra pastore e gregge non è solo di tipo economico, basato sull'interesse. Si sviluppa un rapporto quasi personale tra il pastore e il gregge. Giornate e giornate passate insieme in luoghi solitari a osservarsi. Il pastore finisce per conoscere tutto di ogni pecora; la pecora riconosce e distingue tra tutte la voce del pastore che spesso parla con le pecore. Un'immagine equivalente, ma vicina a noi, potrebbe essere quella di una mamma che al parco, mentre è seduta a leggere o a guardare il cellulare, vigila attentamente con la coda dell'occhio sul suo bambino che gioca e corre, pronta a scattare a ogni segnale di pericolo. Questo spiega come mai Gesù si è servito di questo simbolo per esprimere il suo rapporto con l'umanità. In seguito, il titolo di pastore viene dato, per estensione, anche a quelli che fanno le veci di Dio in terra: i re, i sacerdoti, i capi in genere. Ma in questo caso il simbolo si scinde: non evoca più solo immagini di protezione, di sicurezza, ma anche quelle di sfruttamento e di oppressione. Accanto all'immagine del «buon pastore che dà la propria vita per le pecore» fa la sua comparsa quella del cattivo pastore, del mercenario. Gesù infatti, scrive Giovanni, dice che «Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore». Ma perché Gesù si è appropriato dell'immagine del pastore e chiama noi pecore? Innanzitutto bisogna dire che uno dei fenomeni più evidenti della nostra società è la massificazione. Che cosa significa? Significa che stampa, televisione, internet, facebook, instagram, twitter, si chiamano «mezzi di comunicazione di massa», mass-media, non solo perché informano le masse, ma anche perché le formano, le creano, le massificano. Senza che ce ne accorgiamo, noi ci lasciamo guidare supinamente da ogni sorta di manipolazione e di persuasione occulta. Altri creano modelli di benessere e di comportamento, ideali e obiettivi di progresso, e noi li seguiamo; andiamo dietro, per stare al passo con il tempo, condizionati e plagiati dalla pubblicità. Mangiamo quello che ci dicono, parliamo come sentiamo parlare, per slogan, ci facciamo un giudizio degli altri a volte sbagliato...il criterio, purtroppo, da cui la maggioranza si lascia guidare nelle proprie scelte è il «così fan tutti». Ebbene, appartenere al gregge di Gesù significa non cadere nella massificazione. Significa non giudicare gli altri dalle apparenze; non lasciarsi condizionare dal giudizio altrui. Il Vangelo ovviamente non ci promette di cambiare l'attuale società «di massa»; non è il suo compito e neppure ha bisogno di farlo. Lo scopo del Vangelo è quello di lasciarsi ispirare dalla parola di Cristo che non è «così fan tutti» ma «così è bene fare». Lo sguardo di Gesù però non si ferma al suo piccolo gregge, alla comunità itinerante di uomini e donne che lo ha seguito, ma si rivolge anche alle pecore non ancora alla sua sequela: «ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore». Dicendo questo, egli pensa a tutti gli uomini che attirerà a sé quando sarà innalzato in croce e poi in cielo presso il Padre (cf Gv 12,32). La sua missione sarà quella di «riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (cf Gv 11,52), ma ciò si realizzerà in modo sorprendente: questo pastore universale (cf Eb 13,20; 1Pt 5,4), l'unico pastore della chiesa sparsa su tutta la terra, si rivelerà come agnello immolato (cf Ap 5,6.12; 7,17; 13,8), che ha dato la propria vita, e per questo è stato innalzato e glorificato dal Padre. Sì, proprio in quanto agnello Gesù è diventato il pastore delle pecore! Da questa pagina del Vangelo scaturisce una domanda cruciale per tutti i pastori delle chiese: essi svolgono il loro servizio come funzionari o come persone che spendono la propria vita con amore per le comunità loro affidate? È infatti sempre possibile che il pastore si trasformi in mercenario oppure finisca per non interessarsi delle pecore che compongono il suo gregge. Non si dimentichi però: se un pastore comincia a svolgere il proprio servizio come un mercenario, vivendo in modo contraddittorio a quel che pensa, poco per volta finirà anche per pensare come vive, in un triste circolo vizioso. E ciò sarebbe causa di grande rovina sia per il pastore sia per le pecore... Chiediamo a Dio onnipotente e misericordioso affinché mandi santi sacerdoti nella sua messe, che annuncino non solo con le parole ma soprattutto con le opere, il messaggio di amore del Sommo e Buon Pastore, Cristo Gesù, nostra unica speranza e salvezza. Amen. |