Omelia (02-05-2021) |
diac. Vito Calella |
Il “grappolo d'uva” dell'unità nella carità Gesù è la «vite del Padre» drasticamente potata nell'evento della morte di croce. Gesù si definisce «la vite del Padre» mentre sta pronunciando il suo discorso, in forma di testamento spirituale, durante l'ultima cena, iniziata con il gesto sorprendente della lavanda dei piedi (cf. Gv 13,1-20). Era già avvenuta la prima potatura dolorosa nel suo cuore di «maestro e signore» divenuto «servo», a causa dell'allontanamento di Giuda dal gruppo dei dodici apostoli, per mettere in atto il suo tradimento (cf. Gv 13,21-31). La potatura più dolorosa era già imminente: corrispondeva alla sua passione e morte di croce. Noi, dalla testimonianza degli evangelisti Matteo e Marco sappiamo che Gesù crocifisso aveva gridato le prime parole del salmo 22 (pregato da noi oggi come salmo responsoriale, anche se non sono state ricordate): «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 22,2a = Mt 27,46 // Mc 15,34). Tutta la prima parte del salmo, fino al versetto 22, è una preghiera di supplica in una situazione di grande sofferenza e persecuzione, che sembra già descrivere i patimenti di Gesù, attestati nei racconti della sua passione. Nell'immagine simbolica della vite si possono distinguere tre parti: il ceppo, i tralci e i grappoli d'uva. Ciascuna di queste tre parti è essenzialmente legata all'altra: il grappolo si sviluppa solo nel tralcio, il ceppo non può fare a meno del tralcio, altrimenti diventerebbe una inutile e infruttifera vite. Il ceppo piantato nella terra dipende dal lavoro del contadino, che ogni anno deve fare il lavoro di potatura dei tralci, altrimenti la vite perde la potenzialità di produrre grappoli abbondanti. Gesù di Nazaret, con la sua morte di croce, apparentemente risulta essere un fallito, cioè uno che non ha fatto successo con la sua predicazione e con i suoi miracoli: è stato ucciso ed ha prevalso l'egoismo umano cinico e calcolatore di interessi di potere. Le sue parole e i suoi miracoli sembrano essere quei tralci che l'agricoltore ha potato, fatto seccare, ed ha gettato nel fuoco. La prima parte del salmo 22 riflette l'esperienza dolorosa dell'essere come una vite sottoposta a drastici tagli, a dolorose perdite. Gesù inchiodato alla croce non poteva far nulla, se non morire. Il tralcio fecondo unito a Gesù «vite del Padre» sta nel "piccolo resto" sotto la croce. Sotto la croce, secondo il vangelo di Giovanni, contempliamo però il "non tutto è perduto". Maria, sua madre, e il discepolo amato, con Maria di Cleopa e Maria di Magdala, in comunione tra loro, rappresentano quel resto di tralcio rimasto innestato alla vite drasticamente potata, che produrrà il grappolo maturo della comunità cristiana, cioè l'assemblea riunita nel nome del Padre unito al Figlio risuscitato nello Spirito Santo (cf. Gv 19,23-27). Lo abbiamo pregato oggi con la seconda parte del salmo 22, che inizia dal versetto 23, a cui si ispira il ritornello da noi pronunciato o cantato: «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea». Noi abbiamo ripetuto: «A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea». Il grappolo d'uva del tralcio fecondo rappresenta il nostro essere comunità cristiana. Il frutto maturo del nostro essere oggi comunità cristiana riunita in questa assemblea eucaristica si fonda su Gesù crocifisso, l'abbandonato-impotente di fronte alla sofferenza della croce e di fronte al male subìto; ma consegnato fiduciosamente alla comunione con il Padre e riscattato con l'essere stato risuscitato dalla potenza dello Spirito Santo. Il dono della comunione eucaristica rende efficace qui ed ora, a distanza di tantissimi anni, quell'evento di morte e risurrezione di Gesù per la remissione dei nostri peccati e per la realizzazione della nuova ed eterna alleanza del Padre con tutti noi, che possiamo veramente sperimentare appartenendo alla nostra comunità di credenti in Cristo. Per sette volte abbiamo ascoltato l'invito di Gesù a «rimanere in lui» (Gv 15,4a.b.c.5.6.7a.b). Il corpo e sangue eucaristici ci rendono "Corpo di Cristo ecclesiale". Grazie alla nostra comunità cristiana, il Cristo si può rendere presente all'umanità che serviamo attraverso il dono eucaristico di se stesso nelle specie del pane e del vino e il dono della sua presenza altrettanto viva e vera da scoprire e accogliere nella carne dei poveri. Cristo risuscitato infatti si era rivelato a Paolo nella carne dei cristiani perseguitati, e, alla luce del racconto degli Atti degli apostoli di oggi, si rivelava presente anche nella stessa persona di Paolo, il peccatore, l'assassino, cioè il povero convertito che dovette affrontare la fatica, aiutato da Barnaba, di essere accolto come fratello, e non più come nemico, nella comunità di Gerusalemme. Diventiamo "grappolo d'uva" dell'unità nella carità. Uniti nella carità, vogliamo dunque essere come un gustoso grappolo d'uva offerto a tutti, consapevoli che «senza di Cristo [nostra vite] non possiamo far nulla» (Gv 15,5b). Il "grappolo d'uva" che siamo chiamati ad essere come comunità cristiana inserita nel mondo, guidati dallo Spirito Santo e non dal nostro attivismo pastorale, sia la nostra testimonianza luminosa di vivere e lavorare insieme uniti nella carità. La parola di Dio di questa domenica ci offre tre suggerimenti. Innanzitutto diventiamo "grappolo d'uva" col nostro santificarci tutti insieme uniti nella carità assumendo il metodo del discernimento, a partire da chi è chiamato ad essere pastore e guida nel e per il popolo di Dio con il suo ministero ordinato. Il criterio fondamentale di discernimento proposto dalla parola di Dio di oggi è questo: «non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1Gv 3,18). Vivere e lavorare insieme uniti nella carità è una sfida aperta che si basa sulla responsabilità individuale ad essere innestati in Cristo Gesù, nostra vite, con l'impegno quotidiano di garantire tempo e spazio sacro all'incontro orante con la parola di Dio. «Amare nella verità» si può interpretare come "scelta di imparare a pregare la parola di Dio", per impostare la propria esistenza sull'opzione fondamentale del discernimento quotidiano della volontà di Dio:«perché [vogliamo] osservare i suoi comandamenti e fare quello che gli è gradito» (1Gv 3,22), senza metter al centro il nostro "Io", i nostri progetti, i nostri beni umani e materiali. Il discernimento della volontà di Dio è detto nella prima lettera di Giovanni con la felice espressione ambivalente della «rassicurazione» e «rimprovero del cuore» (cf. Gv 3,19-20). La «rassicurazione del cuore» è il sentimento di gratitudine nel percepire che la parola di Dio pregata diventa vita vissuta con l'essenzialità delle nostre relazioni di gratuità e di rispetto: così agendo «stiamo amando con i fatti e nella verità». Il «rimprovero del cuore» consiste nel riconoscere umilmente le nostre difficoltà a vivere e lavorare insieme uniti nella carità. La fatica non ci scoraggia, perché «Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1Gv 3,20); soprattutto ci educa a chiedere al Padre affinché lo Spirito Santo in noi possa agire anche sulle linee storte delle nostre difficoltà relazionali: «In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato» (1Gv 3,24). In secondo luogo diventiamo "grappolo d'uva" dell'unità nella carità assumendo la consapevolezza di essere "missione", affinché «tutti i confini della terra ricordino e tornino al Signore», cioè riconoscano il Cristo morto e risuscitato e si convertano al suo annuncio del regno del Padre, sperando che «si prostrino a Lui tutte le famiglie dei popoli» (Sal 22,28). Infine diventiamo "grappolo d'uva" di unità nella carità preoccupandoci di trovare le modalità più appropriata ai giorni nostri affinché nelle nostre famiglie anche i nostri bambini e i nostri giovani possano essere attratti dalla vera vite che è Cristo e siano gioiosi nel continuare la missione di annunciare il nome di Cristo al mondo, come abbiamo pregato con il salmo «Si parlerà del Signore alla generazione che viene» (Sal 22,31b). |