Omelia (02-05-2021)
padre Antonio Rungi
Vite e tralci: questi siamo con Cristo e in Cristo

Il vangelo della quinta domenica del tempo di Pasqua nuovamente ci offre una definizione di Gesù, da lui stesso scelta per presentarsi a noi, come Figlio di Dio e Salvatore. Questa volta sceglie un immagine dell'agricoltura per raffigurare se stesso a quanti fanno riferimento a Lui nella vita e nel cammino della santità e salvezza. Parlando, come al solito, al gruppo dei discepoli, quelli che in teoria avrebbe dovuto capire subito il discorso di Gesù, egli disse: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.


Tre immagini ben precise ci vengono indicate in questo inizio del brano del Vangelo di Giovani: la vite vera, il Padre come agricoltore, e il tralcio agganciato alla vite. Possiamo ben dire che sono tre cose strettamente legate l'una all'altra, ma in fondo la sostanza del discorso è una soltanto: il Padre come agricoltore, coltiva la vigna e produce vite vera e vino vero; chiaramente ogni vite ha tanti tralci che aggrappati alla linfa vita del tronco madre si sostengono, si alimentano e alla fine producono il frutto tanto desiderato che è l'uva. Da qui, in termini molto espliciti Gesù invita ed ammonisce i suoi discepoli a rimanere ancorati e saldati in Lui, perché solo così Egli può alimentare la loro vita di grazia e di santità. Se questo non dovesse succedere, come spesso accade nella vita di tanti credenti ed uomini, senza Dio e senza fede, allora il tralcio non può sopravvivere, perché da solo non può portare frutto; mentre se si alimenta alla vite esso vive e da frutto. La similitudine è spiegata da Gesù stesso ed il paragone viene subito effettuato all'istante. Infatti rivolgendosi ai discepoli egli così sostiene che se non rimangono ancorati a Cristo muoiono spiritualmente, come muove fisicamente il tralcio potato e gettato via. Ancora una volta Gesù afferma di se stesso che è la vite, mentre tutta l'umanità sono i tralci. Di conseguenza chi rimane in Gesù, e chi perette a Cristo di abitare in lui, allora questa persona porterà molto frutto, chiaramente di ordine spirituale e morale, in quanto lo sappiamo benissimo tutti noi credenti che senza Dio non possiamo fare nulla.

Questi limiti li stiamo registrando ogni giorno di più in questo anno di grandi sofferenze a causa dell'epidemia. Senza l'aiuto del cielo non usciremo mai da questa e da altre emergenze non solo sanitarie, ma in generale. E allora si tratta davvero di ancorarsi saldamente a Cristo, in tutto e per tutto, in quando se non lo facciamo, allontanandoci da lui, in tutti i sensi, succede che come il tralcio senza più linfa vitale muore e viene gettato via. Tutto ciò che è morto, secco, che non dà segni di vita viene raccolto e gettano nel fuoco per farlo bruciare e incenerirlo.

Quello che Gesù afferma non sono solo fatti reali, quelli che ci vengono presentati in questo brano, ma anche teologici e spirituali e simbolici, indicando con questo la necessità di rimanere sempre agganciati ad una visione di fede, di speranza e di carità per non essiccarsi il cuore, l'anima e la propria vita, che a quel punto davvero diventa improduttiva e insignificante, destinata alla morte, lenta e sofferta, come succede a chi è stato colpito con la malattia nel corpo e nello spirito ed è incapace di reagire per rimettersi in vita e recuperare quelle energie spirituali e fisiche di cui si ha sempre bisogno.

Alimentati dalla grazia, dalla preghiera, dall'osservanza dei comandamenti di Dio, la persona che agisce così è santa e fortunata, in quanto se uno rimane in Cristo e le sue parole sono accolte da un cuore buono e generoso, allora ci si può rivolgere a Dio con maggiore fiducia e speranza di essere esauditi, nella fede e con la fede. E qualsiasi cosa verrà soddisfatta.

La richiesta in genere, anche se non subito, verrà soddisfatta con l'intervento Dio. In questo modo, si glorica Dio e si porta molto frutto, perché la grazia e l'osservanza delle sue leggi accrescono negli apostoli e in tutti noi quella sapienza che ti porta a metterti alla sequela del maestro e farsi guidare dalle sue parole illuminanti e rigeneranti.


Carissimi amici, siamo all'inizio del mese di maggio 2021 e come tutti gli anni questo mese è dedicato alla Madonna, la Madre di Dio e Madre Nostra. Ovunque la pratica del mese di maggio è diffusa e sentita. Facciamo tesoro di questo tempo di grazia avendo fisso lo sguardo su Gesù, su Maria e su San Giuseppe, che celebriamo in modo speciale in questo anno a lui dedicato. La santa famiglia di Nazeret dia vitalità, speranza e gioia a tutti uomini di questa terra, segnata ancora dalla sofferenza per il covid-19 ed altre gravissime situazioni di miseria, povertà, abbandono violenza che ritmano i tempi e le stagioni di questo nostro mondo che ha bisogno di conversione.


Affidiamo alla Madonna e a San Giuseppe queste nostre preghiere e intenzioni di bene, sostenuti dalla parola di Dio che ci viene in nostro aiuto in questo giorno di festa e sempre. Nel brano degli Atti degli apostoli che stiamo leggendo ogni giorno in questo tempo di Pasqua, Bàrnaba racconta agli apostoli come durante il viaggio Paolo aveva visto il Signore.. Il testo è descrittivo e preciso nel riportare il fatto. Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. Sapevano la sua vita passata e la persecuzione che aveva portato avanti nei confronti dei cristiani. Pochi credevano nella sua piena e totale conversione. Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. La mediazione di Barnaba fu importante al fine dell'inserimento di Paolo nel gruppo dei discepoli del Signore. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente, parlando e discutendo con quelli di lingua greca. Di fronte al grande zelo di Paolo e alla sua capacità di convincere e fare seguito, questi tentavano di ucciderlo. In poche parole avevano organizzato un agguato ed attentato. Come in tutti gli ambienti non mancano gli informatori che vogliono la pace e non la guerra e così è stato fatto nei confronti di Paolo. Quando i cristiani vennero a sapere di questo progetto di ucciderlo, presero Paolo e lo condussero a Cesarèa, per poi farlo partire per Tarso, mettendolo così al sicuro.

D'altra parte, la sua testimonianza era davvero importante per la chiesa che stava nascendo e crescendo. Infatti, la Chiesa che era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero. Quella Chiesa che, come ci ricorda l'apostolo Giovanni, nel brano della seconda lettura di oggi, amare non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. L'amore vero consiste nell'osservanza dei comandamenti di Dio. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

E Dio che conosce perfettamente il nostro cuore, sa di che cosa ha bisogno per vivere nella grazia e nella sua amicizia. Se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito".

Non ci sono altre alternative alla vera felicità di un cristiano, che sa di amare sinceramente e nella verità Dio e i fratelli, perché l'amore rende felice il cuore di ognuno e di tutti.