Omelia (09-05-2021)
padre Antonio Rungi
Amare è semplicemente donare anche la vita per gli altri

La parola di Dio di questa sesta domenica di Pasqua riporta al centro della nostra riflessione il tema dell'amore: quello che Dio nutre nei confronti dell'umanità e quello che dovrebbe circolare tra tutti gli esseri umani e in particolare tra quelli che credono in Cristo, salvatore del mondo.

Nel brano evangelico di questa domenica, tratto da san Giovanni, Gesù continua a presentarsi agli apostoli per quello che effettivamente è: la manifestazione dell'amore immenso di Dio a noi poveri mortali.

Tante le definizioni date di se stesso per rendere accessibile a tutti la comprensione della su persona, nella natura divina e in quella umana, oltre quella della sua missione, Egli ha scelto quella dell'amore, nel quale tutti dobbiamo rimanere per sempre, perché in Dio l'amore è eterno.

Dice infatti ai suoi discepoli che «come il Padre ha amato me, anche io ama voi". Per gustare questa singolarità dell'amore di Dio è necessario rimanere nel suo amore.

Ciò vuol dire che bisogna osservare i suoi comandamenti, i quali ci danno la garanzia di rimanere nell'amore di Dio.

Il confronto che Gesù fa sul tema dell'amore è riferito al suo stile e modo di amare. Egli, infatti, è rimasto nell'amore in quanto ha osservato i comandamenti del Padre suo.

Come è facile capire, non si tratta dell'osservanza di norme particolari o di leggi divine stabilite esclusivamente per il suo Figlio, ma solo di un modo di rappresentare questo amor trinitario assumendo come esempio proprio Gesù Cristo, in quale è morto sulla croce per noi peccatori.

Il discorso che Gesù fa su se stesso, in realtà è finalizzato a trasmettere la sua gioia nel gruppo dei discepoli e di quanti a mano a mano incominceranno a venire alla fede e a credere fermamente nella vita eterna.

Una gioia piena e duratura e che riguarda tutti e non solo alcuni.

In cosa consista questo rapporto tra amore e comandamento è Gesù stesso che ne spiega la portata teologica e pastorale: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi".

Rimanere in Cristo è amarsi sinceramente, veramente e profondamente, al punto tale che Gesù dice con esattezza che "nessuno ha un amore più grande di questo se non quello di dare la sua vita per i propri amici".

E subito Gesù crea uno stretto rapporto concettuale ed operativo tra amore e norma, affermando che noi siamo suoi amici, nella misura in cui agiamo secondo quanto ci ha detto di fare.

Essendo amici, non siamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; invece gli amici di Cristo sanno tutto ciò che egli ha detto, ascoltandolo dal Padre, per poi farlo conoscere a tutti noi.

Non ci sono i segreti in Dio, ma solo misteri che non riusciamo a capire e a spiegare per i limiti della nostra conoscenza che noi esseri umani abbiamo.

Anche i geni più illuminati si fermano davanti ai misteri del Dio che si è rivelato a noi solo in Gesù Cristo.

Un'ultima precisazione Gesù la fa parlando ai suoi discepoli quando ricorda loro che Egli li ha scelti tra i tanti possibili esseri umani che potevano svolgere, forse anche meglio il loro, il compito di apostoli. Perciò non bisogna confondersi: Gesù ha scelto proprio quei dodici e non stati loro a scegliere Gesù.

La chiamata viene sempre da Dio e non dall'uomo. L'uomo può corrispondere o meno a questa chiamata, perché attraverso l'esempio di una vita santa e coerente con la fede possano portare davvero frutti spirituali, non occasionali, ma duraturi.

Per raggiungere questa stabilizzazione nel campo della produzione spirituale è importante saper chiedere al Padre nel nome di Cristo. E l'unico modo per ottenere una risposta alle nostre richieste è Cristo. Non ci sono altri intermediari o mediatori, perché uno solo è il mediatore tra Dio e l'uomo, appunto nostro Signore Gesù Cristo.

In fondo tutto quello che il Signore vuole da noi e che ci amiamo gli uni gli altri come Egli ha amato tutti noi.

Camminare nell'amore e impegnarsi ad amare secondo il modello di Cristo non è facile e semplice come si pensa, ma molto problematico, perché si è più facili e portati amare se stessi piuttosto che gli altri.

Immaginiamo poi se l'amore richiede il sacrificio della propria vita, come ha fatto Gesù per noi.

Chi è capace di questo se non un martire o una martire?

Chiediamo al Signore la grazia di far sorgere nel nostro cuore un briciolo d'amore a partire da coloro che ci sono vicini e sono il prossimo più prossimo di tutti.

Sono i Santi dell'amore e si sono santificati perché hanno amato, come la Maddalena, alla quale vengono perdonate tutte le debolezze, perché ha tanto amato, al punto tale che questo amore ha preso direzioni sbagliate.

In poche parole per eccesso di amore e di fiducia nell'amore si può sbagliare e si sbaglia di fatto, perché l'amore non è più vero amore, ma solo passione, interesse ed egoismo.

In definitiva il messaggio del vangelo di questa domenica è molto chiaro: meglio rimproverare a noi stessi gli sbagli commessi per troppo amore e mai esaltarsi per aver odiato e massacrati gli altri.

L'amore non è l'esperienza di un momento, ma diviene storia quando in esso si rimane. Solo così l'esperienza dell'amore ci scava nel profondo, agisce e opera cambiamenti radicali in noi, al punto tale che per amore si sale anche sulla croce delle sofferenze, delle privazioni, delle umiliazioni e del martirio del corpo e dello spirito.

Questo rimanere nell'amore diviene fondamento nel perseverare nella fede. Di più: il rimanere in Cristo è basilare per il rimanere con i fratelli nella comunità ecclesiale e con tutti gli esseri umani in comunione di umanità.

Rimanere nell'amore è fare esperienza di interiorità e profondità spirituale, di perseveranza e di comunione ecclesiale ed umanitaria.

La comunione ecclesiale, però, ha un imprescindibile fondamento nella comunione personale e interiore con il Signore.

Senza quest'ultima, la vita ecclesiale si riduce a ipocrisia ad apparenze, a riti, a liturgie. Senza uno spazio di vita interiore e di comunione personale con il Signore l'"io" non riuscirà mai a trasformarsi nel "noi", in modo libero, convinto e pieno d'amore, e rischierà di piegare il "noi" all'"io".

Il più grave peccato dei nostri giorni è l'autoreferenzialità: quell'io che non riusciamo a dominare nella nostra vita e nei nostri istinti di predominio sugli altri, nell'arroganza e nella presunzione più totali.


Lo comprendiamo bene tutto questo alla luce della prima lettura di oggi, sempre tratta dagli Atti degli apostoli in cui vediamo all'opera San Pietro ed una figura importantissima nella storia della nascente comunità cristiana, che è quello di Cornelio. Dai testi sacri e dalla storia si sa che era un centurione romano noto come uomo pio e timorato, che pregava ed era generoso nelle elemosine.

La sua residenza era a Cesarea di Palestina, sede del governatore romano e apparteneva alla coorte detta «Italica».

Gli Atti degli Apostoli, nel testo di questa domenica, narrano che Cornelio, mentre un giorno verso le tre del pomeriggio pregava Dio, desideroso di conoscerne la sua volontà, ebbe la visione di un angelo che gli disse di mandare degli uomini a Giaffa (Ioppe) per invitare nella sua casa un uomo di nome Simone, detto anche Pietro, il quale l'avrebbe istruito su quanto chiedeva. Cornelio inviò allora due servitori ed un soldato alla sua ricerca. Pietro l'Apostolo, che era in visita alle Chiese della Giudea, aveva nel frattempo avuto una visione simbolica che gli chiariva la volontà di Dio sull'ammissione dei Gentili nella Chiesa. Pertanto incontrati i messi di Cornelio, accettò l'invito e venne a Cesarea nella sua casa. Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati: anche io sono un uomo!».

Entrato, si mise a predicare il Vangelo e mentre parlava lo Spirito Santo scese su tutti i presenti, manifestandosi con il dono delle lingue. Da qui ebbe inizio l'evangelizzazione dei «gentili». Il testo degli Atti degli Apostoli riporta sinteticamente il discorso di Pietro, il quale disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». Chiaro il messaggio della universalità della salvezza che Cristo è venuto a portare a compimento nella sua morte e risurrezione. Il racconto degli Atti evidenzia il fatto che "Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio".

Con questa effusione dello Spirito anche sui pagani si supera la mentalità della esclusività della salvezza per il solo popolo eletto. A questo punto Pietro procede nell'amministrazione del battesimo, affermando: «Chi può impedire che siano battezzati nell'acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Quindi lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.

Dal battesimo in poi inizia una vita nuova per il battezzato, che tradotta in termini operativi trova la sua risposta nel brano della seconda lettura di questa domenica, tratta da San Giovanni, il quale ci raccomanda di amarci gli uni gli altri "perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore".

La sintesi di tutta la religione cristiana sta in questo principio teologico e dottrinale da cui nessun vero credente può discostarsi o falsamente interpretare. L'amore di Dio si è manifestato in noi in questo atto supremo di donazione: "Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui". Di conseguenza, l'amore di Dio consiste in questo: "non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati". L'iniziativa è di Dio nel volerci a tutti i costi salvarci, sacrificando il suo Figlio sulla croce, in riscatto dei nostri peccati.

In questo tempo di Pasqua e in questo mese mariano dedicato alla Madonna, il Signore ci liberi dalla tentazione di concentrarci esclusivamente su noi stessi e sull'esempio della Beata Vergine Maria, possiamo incontrare Gesù Cristo, con la piena disponibilità del nostro cuore e della nostra mente, in modo da rispondere perfettamente ai suoi progetti di amore e salvezza eterna, continuando ad agire bene, rettamente e santamente su questa terra.