Omelia (16-05-2021)
diac. Vito Calella
Qual è il mio posto, per dire il mio «sì» all'ideale dell'unità nella carità?

Il Cristo risuscitato ospita le nostre prigionie, ma ci arricchisce di doni
L'ascensione al cielo di Gesù è la testimonianza apostolica della sua ultima apparizione con la sua corporeità trasfigurata di crocifisso risuscitato.
È volontà del Padre «ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra» (Ef 1,10).
Per mezzo della stessa lettera scritta da Paolo agli Efesini, il Padre unito al Figlio nello Spirito Santo ci comunica il senso della venuta del Figlio nel mondo (discesa dal cielo) e del compimento della sua missione tra noi (ascesa al cielo).
L'apostolo Paolo interpreta il versetto 19 del Salmo 68 (67) e scrive: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini» (Ef 4,8).
La corporeità trasfigurata e vivente per sempre di Gesù risuscitato porta i segni della sofferenza subita sulla croce.
Nei segni indelebili lasciati dai chiodi e dalla lancia il Cristo risuscitato ospita in sé ogni situazione umana di "prigionia":
la prigionia dell'«incredulità e durezza di cuore» (Mc 16,14) degli apostoli, inviati lo stesso con queste povertà e inconsistenze;
la prigionia di tutte le nostre difficoltà a «comportarci in maniera degna della chiamata che abbiamo ricevuto, con [scarsa] umiltà, [poca] dolcezza e [carente] magnanimità, [stentando a] sopportarci a vicenda nell'amore, [senza avere] a cuore di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Ef 4,1-3);
la prigionia del nostro egoismo che, invece di «edificare il corpo di Cristo [ecclesiale]» (Ef 4,12) della nostra comunità cristiana, tende a demolirlo con azioni che non danno testimonianza di unità.
L'apostolo Paolo conferma ciò che aveva detto all'inizio della sua lettera: «Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose» (Ef 4,10=Ef 1,10).
Pur ospitando le nostre "prigionie", il Cristo risuscitato, Signore della nostra esistenza, rende ricca la nostra povertà esistenziale distribuendo in ciascuno di noi doni o carismi da scoprire e da mettere a servizio di tutti, grazie al dono per eccellenza da lui promesso e realizzato: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8).
Qual è il mio posto?
La festa dell'ascensione al cielo di Gesù, che precede sempre la solennità della Pentecoste, a conclusione di questo meraviglioso tempo pasquale, ce la possiamo ricordare custodendo in ciascuno di noi la domanda: «Qual è il mio posto?»
Qual è il mio posto nel meraviglioso disegno della creazione? Mi sento responsabile di essere parte dell'umanità avente il compito di prendersi cura delle cose, delle piante, degli animali, cioè di tutta l'esuberante creatività dello Spirito Santo rivelata nella natura della nostra comune madre Terra?
Qual è il mio posto nel meraviglioso mosaico della mia comunità cristiana? Mi sento responsabile di essere parte del corpo di Cristo chiamato "Chiesa"? Sento in me la presenza di doni carismatici che mi rendono unico e originale? Sento che questi doni che ho in me andrebbero investiti per diventare esperienze di servizio gratuito nella mia comunità cristiana inserita in questo contesto storico per realizzare i valori evangelici del regno del Padre?
Sento in me la chiamata ad essere responsabilmente marito o moglie, papà o mamma di una famiglia cristiana?
Sento in me la chiamata a consacrare la vita per Cristo nella vita religiosa, scegliendo con coraggio di imitare Gesù povero, casto e obbediente?
Sento in me la chiamata a servire gratuitamente nella mia comunità cristiana o nell'ambito dell'annuncio biblico e catechetico, o in quello dell'animazione liturgico-sacramentale o in quello del volontariato solidale e attento alle necessità di chi soffre?
Sento in me la chiamata ad mettermi a servizio del regno del Padre come diacono? Sento in me la chiamata a mettermi a servizio della Chiesa come presbitero?
La festa dell'ascensione di Gesù al cielo è la festa della nostra vocazione, è l'appello a rispondere alla domanda: «Qual è il mio posto?».
... per dire il mio «sì» all'ideale dell'unità nella carità
Prepariamoci a vivere con gratitudine la solennità di Pentecoste, domenica prossima, chiedendo al Cristo risuscitato di coltivare in noi l'ideale dell'unità nella carità, volendo farlo diventare l'orizzonte di riferimento della nostra vita.
Chiediamo al Cristo risuscitato di custodire nel cuore e nella mente la Parola da noi ascoltata oggi: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6).
Ci sembra un ideale irraggiungibile, ma è perché forse non ci rendiamo ancora consapevoli della bellezza di concedere allo Spirito Santo, già presente in noi, di agire come protagonista, nell'intreccio dell'esercizio della nostra libertà con quella divina.
Chiediamo allora al Cristo risuscitato che ci aiuti ad essere come Lui, progredendo nello stile di vita dell'«umiltà, della dolcezza e della magnanimità», che corrisponde a quello delle beatitudini: l'umiltà di riconoscere e assumere la radicale povertà della nostra condizione umana (l'umiltà di chi piange le perdite della vita per riscoprirne il senso più profondo);
per imparare a liberare il nostro cuore da tutti quei legami che ci fanno aggrappare alle sicurezze di questo mondo (la dolcezza o mitezza di chi non vuole ereditare le proprie conquiste umane, ma la terra delle relazioni di reciproco rispetto);
per essere perseveranti nel donarci gratuitamente anche quando non riceviamo nessuna gratificazione (la magnanimità di essere dono nella situazione di fame e sete di giustizia).
Dal nostro personale «sì» all'ideale dell'unità nella carità dipenderà l'esperienza di sentirci un'unica umanità che acclama e riconosce che «Gesù Cristo è veramente i Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,11, in risposta al salmo 46 che abbiamo pregato), ciascuno felice di incontrare il suo posto nel corpo ecclesiale per la costruzione del regno del Padre.