Omelia (30-05-2021) |
don Lucio D'Abbraccio |
Siamo realmente figli di Dio! Celebriamo oggi la festa della Santissima Trinità. Appena si pronuncia il nome di questo mistero, abbiamo l'impressione di essere proiettati a un'altezza vertiginosa, lontanissimo dalla nostra realtà quotidiana e magari ci arrendiamo subito e rinunciamo alla corsa. Invece vedremo che è un mistero vicinissimo. Noi viviamo immersi nella Trinità, nascosti in essa, come il pesce nell'acqua. In essa «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (cf At 17,28). Lo spunto per la riflessione ce lo offre la seconda lettura. In essa san Paolo dice: «voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: "Abbà! Padre!"». Ebbene, la parola di Dio ci offre un'immagine familiare per scoprire il vincolo che ci unisce alla Trinità: l'«adozione». L'adozione può essere, a volte, un'esperienza di grande sofferenza. Spesso i bambini adottati si portano dietro i traumi della situazione da cui provengono, che si possono manifestare sotto forma di ribellione, di violenza e di una apparente ingratitudine. Però i genitori adottivi danno prova di una comprensione e pazienza quasi sovrumane. Si elevano a un amore che è forse quello che, sulla terra, ci ricorda più da vicino l'amore di Dio: un amore gratuito che «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (cf 1Cor 13,7). Ma dove si fonda la nostra adozione divina? La risposta la fornisce l'apostolo Paolo. Infatti egli scrive che «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, [...] perché ricevessimo l'adozione a figli» (cf Gal 4,4-5). La nostra adozione, dunque, si basa sul fatto che Gesù, Figlio di Dio, facendosi uomo nel grembo della vergine Maria per opera dello Spirito Santo, ci ha presi come fratelli, ci ha dato il suo Spirito, ci ha uniti a sé come membra al capo, facendo di noi una sola famiglia. Le cose si sono svolte, in certo senso, nell'ordine inverso rispetto alle adozioni umane. In queste ultime, sono il papà e la mamma che adottano e, se hanno dei figli naturali, cercano di aiutarli ad accogliere il fratellino o la sorellina che si aggiunge alla famiglia dall'esterno. Qui, al contrario, è stato il fratello maggiore, Gesù, ad adottarci e «presentarci al Padre in un solo Spirito» (cf Ef 2,18). Siamo diventati prima fratelli e poi figli e il risultato di tutto questo ce lo indica di nuovo la Scrittura: «Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» (cf Ef 2,19). Ecco dunque che cos'è per noi la Trinità: la nostra famiglia! Grazie all'adozione a figli, siamo diventati «familiari di Dio». Il figlio adottivo diventa automaticamente erede, insieme con i figli naturali, di tutti i beni dei loro genitori. La seconda lettura della festa continua infatti dicendo: «se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo». Ma adesso dobbiamo mettere in luce anche le differenze che esistono tra le adozioni umane e questa adozione da parte del Padre celeste. L'adozione umana in se stessa è un fatto giuridico. Il figlio adottivo assume il cognome, la cittadinanza, la residenza di coloro che lo adottano, ma non condivide il loro sangue; non ci sono stati concepimento, doglie e parto. Per noi non è così: Dio non ci trasmette solo il nome di figli, ma anche la sua vita intima, il suo Spirito. Per mezzo del battesimo in noi scorre la vita stessa di Dio. Non solo siamo «chiamati figli di Dio, ma lo siamo realmente!» (cf 1Gv 3,1). L'adozione divina crea un vincolo più forte. Il figlio naturale possiede lo stesso sangue del padre, la stessa vita della madre. Tuttavia, una volta nato, quello che era un tempo il sangue del padre è ora nel figlio. Il figlio può vivere separato dal padre e dalla madre, anzi, per vivere ha bisogno, dopo nove mesi, di separarsi dalla madre e vivere per conto suo. Se non lo fa, muore. Non così sul piano spirituale. Qui la stessa vita, lo stesso Spirito, scorre in noi e in Cristo. E non solo non dobbiamo separarci da lui per vivere, ma cessiamo piuttosto di vivere e moriamo se ci separiamo da lui con il peccato. Qualche Domenica fa, Gesù ci ha illustrato questo rapporto intimo e profondissimo che ci lega a lui con l'immagine del tralcio che vive se resta unito alla vite e muore se si stacca da essa. I genitori adottivi, per continuare ad amare i figli adottivi, perdonano se questi commettono qualcosa di terribile. Ecco cosa fa Dio con noi! Quante volte noi trasciniamo spesso il nome di Dio nella polvere, arriviamo a rimproverargli di averci messi al mondo, e lui, nonostante i nostri sbagli, continua con immenso amore e pazienza, a chiamarci figli. Egli mai ci rinnegherà! All'inizio ci siamo proposti di dimostrare che la Trinità che celebriamo non è un mistero lontano, che non ci riguarda, e abbiamo scoperto ben di più: che essa è la nostra famiglia. E non una famiglia passeggera, ma quella nella quale siamo destinati a vivere e a essere felici in eterno. Il mistero della Trinità, dunque, non ci è estraneo: lo esprimiamo ogni volta che facciamo il segno della croce. Il segno di croce non è un gesto di scaramanzia, da fare prima di una partita di calcio o attorno a una bara o prima di fare gli esami. Il segno di croce rivela che siamo cristiani; che apparteniamo a Dio e a lui ritorniamo attraverso Gesù Cristo, con la guida sicura dello Spirito Santo. Ci aiuti Maria, specchio della Trinità Santissima, la quale ha accolto la volontà del Padre e ha concepito il Figlio per opera dello Spirito Santo, a crescere nella fede nel mistero trinitario. Amen. |