Omelia (06-06-2021) |
mons. Roberto Brunelli |
Un rapporto vitale col divino Maestro Il sesto capitolo del vangelo secondo Giovanni riporta un discorso pronunciato da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, dopo avere moltiplicato pani e pesci per nutrire la folla che lo aveva seguito. Il discorso era come la spiegazione di quel clamoroso miracolo, condensata nelle parole: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna". Questa affermazione ha suscitato nei presenti sorpresa e sconcerto: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?" si chiedevano. La risposta è venuta in seguito, nell'ultima cena, quando egli prese il pane e il vino e ne distribuì ai discepoli dicendo: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo sacrificato per voi... Prendete e bevete, questo è il mio sangue versato per voi... Fate questo in memoria di me". Parole basilari, se da duemila anni ci sono uomini, sparsi in tutto il mondo, che ogni giorno, celebrando la Messa, obbediscono al comando, e così rendono attuali quelle pronunciate da Gesù appunto durante la sua ultima cena, e ne beneficiano insieme con innumerevoli fedeli. Ogni giorno, col rischio perciò di non badarci più quanto meritano: e allora, per dissipare le caligini di cui ama vestirsi l'abitudine, ecco l'odierna solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, il Corpus Domini, come ancora si usa chiamarla. Quelle parole portano al cuore della fede. Esprimono tutta la considerazione, tutto l'amore di Dio per l'uomo, e invitano a intendere la fede non come l'asettica accettazione di una serie di verità, ma come un rapporto vitale, una relazione di intimità con Lui. Mangiare e bere il Signore: i termini sono concreti, quasi crudi; ma esprimono da un lato quanto l'uomo abbia bisogno di Dio, e dall'altro con quanto amore Dio sia proteso a soddisfare ogni autentica fame dell'uomo. Gesù era stato preannunciato come l'Emanuele, cioè "Dio-con-noi"; l'Eucaristia ne è il più esplicito adempimento: Dio è con noi al punto da farsi tutt'uno con noi. Ovviamente questo cambia la vita alla radice. L'uomo non è più solo, con i suoi fantasmi e le sue paure, in bilico tra i suoi tormentosi ricordi e le sue incerte prospettive. Si può dire anzi che nell'Eucaristia egli trova il senso del proprio presente, armonicamente collegato sia al passato sia al futuro. C'è chi guarda al tempo trascorso, nell'arco della propria vita come nella storia in generale, con sterile nostalgia: a fronte dell'oggi, il passato gli sembra da rimpiangere; ne ignora, o ne dimentica, le brutture e i fallimenti, e lo vede come la mitica età dell'oro, quando tutto era bello, tutto andava bene. C'è chi guarda al presente come la sola fase disponibile della vita, e vi si aggrappa quasi con furia, cercando di spremerne tutto quanto gli pare appagante, non importa a che prezzo. C'è chi guarda al futuro come lo spazio entusiasmante di un inesauribile progresso, o viceversa con l'angoscia, per sé, per i propri figli e nipoti, di vedervi i mali presenti ingigantiti sino a soffocare quanti li dovranno affrontare. Tra i tanti benefici, l'Eucaristia porta chi vi si affida a un corretto rapporto col tempo. Il passato vi è richiamato in quanto di meglio vi si è compiuto: Dio ha tanto amato gli uomini, da mandare il suo Figlio a riscattarli dalla loro misera condizione. Ma non è un passato da rimpiangere come ormai concluso: esso infatti si riversa nel presente; quell'amore è attuale, vivo e operante oggi. Non solo: l'amore di Dio è la più solida garanzia per il futuro, cui si può tendere senza paura, ma anzi con speranza. Passato, presente e futuro in rapporto all'Eucaristia sono richiamati anche in un'antifona della festa di oggi, composta da quel genio che fu San Tommaso d'Aquino. Con l'acume del teologo e con straordinaria forza di sintesi, egli ha condensato il dono divino in questi termini: "Mistero della Cena! Ci nutriamo di Cristo, si fa memoria della sua passione, l'anima è ricolma di grazia, e ci è donato il pegno della gloria", cioè della vita futura con lui. Non si poteva dire meglio. |