Omelia (30-05-2021)
Michele Antonio Corona
Il mi(ni)stero della comunione

Chi ti è vicino come Dio? La prima lettura, tratta da Deuteronomio, ci pone un interrogativo fondamentale per la vita credente sul rapporto personale con Dio a partire dalla sua vicinanza. La risposta non può certo essere scontata o di etichetta. Pensiamo a chi ha subito un lutto, chi è stato protagonista di qualche tragedia personale o familiare, chi sta attraversando un periodo di solitudine, di abbandono, di depressione. Qual è la percezione della vicinanza di Dio? D'altra parte, chi sta bene e sta vivendo un tempo di freschezza come e quanto sente la vicinanza di Dio? L'accento non è sul nostro dovere morale di essere vicini a Dio, di essergli fedeli, obbedienti al suo volere, bensì si sottolinea la sua iniziativa di rimanerci accanto e di volersi vicino a noi.

Ma perché un Dio dovrebbe desiderare di essere prossimo dell'uomo, che lo ha abbandonato, tradito, rifiutato? La risposta potrebbe essere: proprio perché è Dio. E ciò lo si manifesta con estrema forza nel vangelo, che chiude la narrazione di Matteo. Un testo che riannoda tutte le tematiche presentate nel vangelo e centro dell'annuncio della buona notizia.

Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo. Lo stesso nome di Gesù, Emmanuele, è il più grande buon annuncio della storia. La salvezza si è fatta carne in lui e ci ha redento da vicino. Non un Dio che ha fatto una guerra nei cieli per conquistarsi il diritto di comandarci e neppure un giudizio all'interno della corte celeste per liberarci da qualche da qualche costrizione o maledizione; Dio ha fatto salvezza nel Figlio Gesù che è stato con gli uomini e rimane con gli uomini.

Il mistero della trinità si attualizza nel significato profondo del verbo che abbiamo ascoltato nelle passate domeniche con i brani di Gv 15: rimanere. Le persone trinitarie sanno rimanere l'una nell'altra. Gesù chiede ai discepoli, e a noi, di rimanere in lui. Lui rimane con noi per sempre. Lo Spirito è donato per rimanere in noi.

E come attestare e riconoscere questa vicinanza, se non accettando la grazia di poter chiamare Dio senza sussiego o ossequio formale? Non solo avendo la possibilità di dare del tu a Dio, ma addirittura chiamandolo papà, Abbà!

Paolo nella lettera ai Romani sembra ricordare la scena del Getzemani - in cui Gesù chiama suo padre in modo così affettivo - e la proietta su noi: anche noi siamo figli e anche noi possiamo chiamare Dio con il nome di chi ci sta vicino, di chi si fa continuamente prossimo.

Il salmo responsoriale ci aiuta in modo eminente a lodare il Signore per l'opera di avvicinamento verso l'umano e sottolinea l'attenzione dello sguardo di Dio.

Infine, di fronte a questo splendore, Matteo non manca di sottolineare il tratto caratteristiche dei discepoli anche dopo la risurrezione e nell'imminenza del mandato di Gesù: essi dubitarono. Il dubbio rimane presente nella fede dei discepoli e della Chiesa. Esso si può dissipare solo nell'accoglienza della parola e dell'invito dei discepoli ad andare, battezzare e insegnare. Dubbio e fiducia rimangono il binomio costitutivo del cammino credente, con la parola di Gesù che è il fondamento unico e solido.