Le mani aperte della Trinità
La Santissima Trinità non è facilmente rappresentabile.
Perché non è semplice immaginarla. La nostra mente, abituata a dividere per comprendere, a separare e distinguere per analizzare, non riesce a comporre in sintesi ciò che è contradittorio. Non riusciamo a contenere in un'unica idea due opposti: figuriamoci se si tratta di condensare l'unità e la differenza di tre Persone. Così ci serviamo di approssimazioni, soprattutto di volti umani per penetrare appena il mistero di Dio. Gesù ci ha aiutato non poco, con la sua presenza umanissima fra noi. Al Padre diamo corpo di anziano, presumendo che lo sia quale origine della vita del Figlio. Per lo Spirito Santo dobbiamo ricorrere a simboli: più di così, rimane difficile.
Alcune delle rappresentazioni più belle della Trinità, nella storia dell'arte, propongono però anche una triplice figura antropomorfica, come la meravigliosa icona della "Trinità del Rublev". Non è qui il luogo per commentare gli innumerevoli richiami simbolici dell'opera, che sollecita proprio la dimensione evocativa necessaria a una esperienza di fede autentica. Credere, insomma, non è questione di certezze razionali, ma di affidamento ragionevole.
E allora, cosa rende credibile la Trinità?
Cosa ci suggerisce di utile la sua raffigurazione come pure il comando che il vangelo di Matteo testimonia in bocca al Signore Gesù mentre sta per salire al Cielo: battezzate "nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (v. 19)?
Un dettaglio è sufficiente. I Tre della Trinità non si tengono mai per mano tra loro. Potrebbe apparire strano, se pensiamo alla natura stessa di Dio, che è amore. Amare, nella nostra esperienza, è toccare, abbracciare, stringere le mani e le spalle dell'amato. Perché in Dio è espressa invece questa distanza?
Gli orientali ci solleciterebbero a considerare l'Altezza irraggiungibile del divino. In Dio l'amore non ha i connotati dell'umano, bensì l'incomparabile leggerezza dello Spirito. Il corpo è rischioso: potrebbe suggerire attaccamento e possesso senza i tratti della gratuità e del dono propri dell'autenticità dell'amore. Dio quindi va sempre mostrato nella sua natura sovrana: ieratico e superiore alle nostre povere esigenze di affetto.
Può darsi. Ma mi piace pensare anche qualcosa di più umile, forse assecondando proprio questa insita necessità di essere accudito e accompagnato, che grida nell'animo di ogni uomo e donna di questo mondo. O forse dando spessore di verità alla promessa di Gesù stesso: "io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (v. 20).
Mi piace pensare, insomma, che i Tre non si stringono le mani per poterle avere libere e tenderle verso di noi. Tutte e sei, potremmo dire.
Le mani di Dio sono tutte impegnate a cercare le nostre, e il suo (o loro) impegno instancabile e inesauribile è quello di cercare un contatto con la nostra creaturalità, sempre. Non soltanto l'uomo-Dio Gesù di Nazareth toccava, stringeva, accarezzava e guariva, ma anche il Padre e il Figlio e lo Spirito dall'Eterna loro dimora preferiscono spendersi a intrecciare una relazione autentica con ognuno di noi, piuttosto che chiudersi in un impenetrabile cerchio di autocelebrazione celestiale.
Le mani e le braccia delle Tre Persone Sante sono completamente a nostra disposizione, e aprono continuamente la possibilità di una relazione, per noi, misere ma splendide opere della loro arte. Perché se noi non abbiamo mezzi per rappresentarLe, loro da sempre hanno fatto di noi un capolavoro: a loro immagine e somiglianza. Così che, se vogliamo ammirare la nostra bellezza, e la loro in noi, siamo invitati a imparare a gestire le nostre mani e braccia con la stessa sorprendente dinamica: per toccare, abbracciare, accarezzare e stringere solo per guarire e sanare. Mai per violare, uccidere e condannare.
Chissà che non restiamo meravigliati di nuovo, e che non ci lasciamo disarmare dai nostri dubbi di scettici incalliti, dall'esperienza intima eppure così reale di essere capaci comunque di amare, qualora permettiamo a Dio, Uno e Trino, di amarci così come siamo.
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