Omelia (06-06-2021)
don Alberto Brignoli
Un patto di sangue

Il "patto di sangue" nell'antichità rappresentava una delle forme più estreme e insieme più vincolanti per sancire un'alleanza tra due persone o tra due popoli: ricevere, da parte dell'elemento più debole dei due, una o più gocce di sangue dell'elemento più forte significava - simbolicamente - riceverne il vigore, la potenza, la forza vitale, e questo vincolava il ricevente a stringere un rapporto talmente forte con il donante da doversi sentire perennemente in debito con lui, al punto da dovergli restituire, in qualsiasi momento, il favore che gli era stato accordato con il patto. Questa modalità legata al sangue, simbolo di vita, ha portato a conseguenze e a prassi dai risvolti molto particolari. A volte - pensiamo a certi ambienti malavitosi - il patto di sangue ha rappresentato l'inizio di una escalation di violenza nella quale le azioni sempre più efferate di una o dell'altra componente del patto altro non erano se non la concretizzazione sempre più accesa di questo "debito" da assolvere verso l'altro; a volte, invece, il patto di sangue ha portato alla creazione di modelli di solidarietà nei quali il dono del sangue si è rivelato un vero e proprio dono di gratuità, volto a ridonare vita laddove la vita sembrava compromessa. E seppure la donazione e ricezione di sangue rimanga sempre un fatto anonimo, chi la riceve si sente comunque e giustamente sempre in debito nei confronti di chi, attraverso il dono del suo sangue, gli ha permesso di ritornare alla vita da una situazione nella quale la vita sembrava davvero compromessa.
Neppure la Parola di Dio è esente da un "patto di sangue" che sancisce un'alleanza, in questo caso l'alleanza tra Dio e il suo popolo. Se nella prima lettura il "patto di sangue" avviene in maniera fortemente simbolica per mezzo del sacrificio di vitelli compiuto da Mosè nel deserto, nel vangelo l'alleanza tra Gesù e i suoi discepoli, ovvero tra Dio e il nuovo popolo d'Israele, viene sancita attraverso un "patto di sangue" nel quale a essere versato non è più il sangue di capri e di vitelli (come ci ricorda molto bene la seconda lettura) ma il sangue stesso di Dio, nel sangue del Figlio sparso sulla croce.
Come viene "assolto" il debito contratto dal popolo d'Israele nei confronti di Dio nel deserto? Attraverso la promessa, anzi il giuramento, di osservare in maniera scrupolosa tutto ciò che Dio esige dal suo popolo. Concetto, questo, che viene ribadito per ben due volte nella prima lettura: "Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!"; "Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto". Sennonché, la storia del popolo d'Israele pare sia andata in maniera molto diversa, in quanto non è proprio così vero che il popolo ha sempre eseguito tutti i comandamenti del Signore e prestato ascolto a tutto ciò che egli ha detto... per cui, questo "patto di sangue" non è stato rispettato in maniera così puntuale.
E Gesù, colto da sano realismo nei confronti dei suoi discepoli, del nuovo Israele, non ha la pretesa, sancendo il nuovo "patto di sangue", di chiedere al suo popolo l'assoluzione del debito da esso contratto. Si preoccupa, piuttosto, di dire loro che il suo sangue è "versato", sprecato, sparso per la loro salvezza, in maniera gratuita, senza nulla chiedere in contraccambio, nulla che poi non sarebbe stato possibile assolvere. Semmai, al termine della cena nella quale sancisce (in maniera quasi univoca) questo "nuovo patto di sangue", questa "nuova ed eterna alleanza", Gesù insieme con loro compie un gesto che appare quasi insignificante, ma che insignificante non è, dal momento che è descritto dal versetto conclusivo della Liturgia della Parola di oggi, quasi fosse un elemento da tenere bene in mente. Marco ci dice che dopo aver cantato l'inno conclusivo della Cena Pasquale, uscirono verso il Monte degli Ulivi. E poco prima, Gesù aveva detto che non avrebbe più bevuto del frutto della vite fino al compimento della sua missione. E infatti, Gesù e i suoi discepoli tralasciano di bere l'ultima delle quattro coppe di vino che il rito prevedeva - quella che simboleggiava la venuta del Messia - per uscire quasi di corsa verso il Monte degli Ulivi.
I discepoli erano ignari di ciò che sarebbe successo: ma Gesù sapeva bene che stava andando incontro al compimento della sua missione, e per di più in maniera tragica e cruenta. Al punto che chiede di nuovo, al Padre, nella sua drammatica preghiera al Getsemani, di fare in modo che lui non debba bere quell'ultima coppa di vino, la quarta, quella che nella cena aveva omesso di bere: "Padre, allontana da me questo calice". Per poi, finalmente, adeguarsi alla volontà di Dio che lo porterà non a bere ma versare l'ultima coppa di vino, quella del suo sangue, sparso sulla croce.
Cosa significa per noi tutto questo, nel giorno in cui tributiamo il nostro onore al Sacramento dell'Eucarestia? Significa, molto semplicemente, che quando partecipiamo alla Cena del Corpo e Sangue di Cristo facendo la comunione, il nostro "patto di sangue" con lui non può avere la pretesa di essere da noi sdebitato con chissà quali promesse o chissà quali propositi (che poi non riusciamo a mantenere), né si esaurisce in un gesto rituale e a volte abitudinario come quello di ricevere un pezzo di pane, ma continua "uscendo verso il monte degli Ulivi" e bevendo l'ultima coppa, quella che preferiremmo fare a meno di bere e che spesso anche noi chiediamo a Dio di allontanare dalla nostra vita, perché la sofferenza ci fa paura.
Avremo fatto la Comunione a messa in maniera efficace nella misura in cui tutto quanto non si esaurisce lì, nel gesto di ricevere la particola, ma continua nella fatica della vita di ogni giorno, nella consapevolezza di dover uscire e andare verso il Monte degli Ulivi, ovvero di dover affrontare la sofferenza della croce e della morte, che non piace a nessuno, ma che purtroppo è impossibile eliminare dalla nostra vita.
Solo che adesso c'è una nuova alleanza, tra noi e Dio: e non finisce con la croce, ma con la resurrezione. Ricordiamocelo, ogni volta che vediamo solo nero e buio intorno a noi: per il cristiano, l'ultima coppa non ha il sapore amaro della morte, ma il gusto dolce della vita.