Omelia (13-06-2021) |
Michele Antonio Corona |
Il tempo ordinario è sempre tempo di grazia Rientrati dopo 104 giorni nel Tempo Ordinario, il vangelo di Marco ritorna ad essere la pista privilegiata per la crescita della nostra fede. E sul tema della crescita si concentra la liturgia di questa domenica. Il vangelo è parte del capitolo 4, in cui l'evangelista concentra il discorso in parabole, magistralmente situato dopo l'evidente imbarazzo da parte di autorità e concittadini del Nazareno, i quali si oppongono a Gesù attraverso l'incredulità di fronte a segni e miracoli. Gesù stesso diviene il segno evidente della contraddizione. Chi vuole seguirlo deve decidere personalmente, proprio come avverrà gradualmente per ogni personaggio evangelico, compresi i dodici. Il discorso in parabole trova il suo centro nei versetti 11-12: A voi è stato dato il mistero del regno di Dio: ma a quelli di fuori tutto avviene in parabole, affinché guardando guardino ma non vedano e ascoltando, ascoltino ma non comprendano. Sembra, dunque, essere un discrimine per determinare chi sta dentro e chi sta fuori. Probabilmente è proprio così, ma con una sfumatura da sottolineare: la distinzione principale non la fa Gesù, ma i suoi ascoltatori; a tutti racconta le parabole, ma solo alcuni sono interessati a chiedere lumi per comprenderle. Pertanto, solo chi si lascia coinvolgere, lo segue e rimane con lui può capire il Maestro e accogliere la sua salvezza. A questo apparente volontarismo si raffronta la venatura offerta dalla pericope evangelica. La parabola del seme che cresce da solo è uno di quei rarissimi frammenti propri del secondo vangelo. A dovere si può dire che questa parabola caratterizza fortemente il tenore del vangelo marciano. Il seme viene piantato nel terreno da un uomo, che lo getta a terra. Pertanto, non fa la fatica di inserirlo nel terreno o di valutarne la fecondità. Egli getta, proprio come il seminatore, la semenza che non ha bisogno di particolari cure per germogliare e crescere. Chiunque sa che questo nella realtà non è completamente verosimile. Ogni tipo di coltura richiede una certa cura e attenzione. Spontaneamente nasce solo l'erba e, soprattutto, quella infestante. Il vangelo non ha intenzione di fare un trattato di agraria, ma sottolinea un aspetto importante: il seme cresce senza che l'uomo - dopo averlo gettato - possa intervenire nel processo di sviluppo. Può aiutarci nell'esperienza pastorale: noi seminiamo, ma nessuno ha il diritto di sentirsi attore protagonista nella crescita della Parola. Forse per questo motivo dovremmo rappacificarci con l'insuccesso della pastorale, anzi - per assurdo - dovremmo abituarci a esso. La Parola cresce come e quando vuole, ma ha bisogno di qualcuno che getti il seme e poi, pur se dorme o veglia, essa cresce spontaneamente. Nella seconda parte si evoca la più nota parabola del granello di senape, il quale pur essendo di dimensioni molto ridotte permette la crescita di un albero importante. Ancora una volta, non conta l'efficacia dell'annuncio o la pertinenza delle strategie pastorali per evangelizzare. Esse sono sicuramente utili, facilitanti, favorevoli ad una comunicazione pertinente, ma è la buona notizia a farsi strada e operare. |