Omelia (13-06-2021) |
don Lucio D'Abbraccio |
Apri, Signore, il nostro cuore e comprenderemo le parole del Figlio tuo! Ascoltiamo oggi due parabole tratte dal discorso di Gesù nel capitolo quarto del vangelo secondo Marco. Gesù si trova lungo il mare di Galilea ed è attorniato da molta gente. Si siede dunque su una barca e da lì ammaestra la folla radunata sulla riva (cf Mc 4,1-2). Egli illustra il «Regno di Dio» attraverso l'immagine del seme che cresce spontaneamente e quella del piccolo granellino di senapa. Gesù, annota Marco, dice che «il regno di Dio è come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa». Questa parabola sottolinea che lo stile di Dio è uno stile di pazienza. Dio - dice Gesù - assomiglia ad un contadino che, dopo aver gettato il seme nella terra, aspetta pazientemente l'ora dei frutti. Il contadino non può accorciare i tempi delle stagioni: egli lo capisce e sa aspettare. E anche Dio sa aspettare perché la pazienza non è debolezza, ma è Amore, è Bontà, è Sapienza. Talvolta invece noi scambiamo la pazienza di Dio per abbandono o per un silenzio che ci irrita. Ma non è così. La spiegazione di tutto sta nel fatto che Dio aspetta: aspetta con pazienza la nostra risposta, aspetta che noi maturiamo nella carità. La pazienza di Dio è comprensibile soltanto nell'umiltà della fede. Ma noi siamo pazienti? Sappiamo aspettare vincendo la tentazione della fretta? Abbiamo fede? Abbiamo capito che Dio è tanto paziente con noi perché aspetta i frutti della nostra carità? Nella seconda parabola, invece, Gesù paragona il Regno a un granellino di senapa: è il seme più piccolo che esista eppure, una volta seminato «cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Qui l'attenzione è posta sullo sviluppo straordinario del seme, sulla contrapposizione tra la sua piccolezza iniziale e la sua grandezza finale. Il Regno di Dio ha una sua forza invisibile ai nostri occhi, è vivo ed efficace come la sua Parola (cf Eb 4,12), ma questa potenza si manifesterà solo alla fine della storia. Ebbene sì, non sono e non saranno le forze umane a cambiare il mondo. Del resto oggi noi vediamo che l'orgoglio del progresso, pensato contro Dio o senza Dio, sta regalandoci una società stanca di vivere, violenta e minacciata dagli stessi prodotti della sua tecnica. Per questo motivo, la situazione di oggi ci deve spingere a credere sempre più nel Signore. Non dimentichiamoci mai che la nostra unica gioia, la nostra unica salvezza non sono i potenti, ma Dio! Dobbiamo, allora, metterci nelle mani di Dio, mettere nelle sue mani quel poco che siamo e facciamo perché, come ha scritto Ezechiele: Dio «umilia l'albero alto e innalza l'albero basso» (I lettura). Alla luce di questa parabola correggiamo il criterio molto comune per definire il successo di una vita o di una persona. Che cosa è il successo davanti a Dio? Non è il potere, non è il denaro, non è il successo, non è nemmeno la salute: queste sono cose che passano. Per Dio il successo è l'Amore: la vita di maggior successo è la vita di colui o di colei che hanno amato e donato di più. Non lasciamoci ingannare: ogni altro successo è paglia che brucia come le stoppie nell'estate. Ecco allora la bellissima conclusione di san Paolo per la nostra vita: «siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male» (II lettura). Sforziamoci, dunque, di accogliere la Parola che ci guida al servizio di Dio e dei fratelli e ad annunciarla con semplicità e umiltà. Cresciamo sempre nel bene ricordandoci che un giorno arriverà per tutti noi la «mietitura», ossia il giudizio di Dio e, nell'attesa di comparire davanti al tribunale di Cristo, invochiamo il Padre nostro che è nei cieli dicendo: «Apri, Signore, il nostro cuore e comprenderemo le parole del Figlio tuo». Amen. |