Omelia (11-06-2021)
don Lucio D'Abbraccio
Impariamo l'amore guardando il Cristo crocifisso

La celebrazione dell'amore di Gesù Cristo attraverso la figura simbolica del suo cuore è abbastanza recente nella Chiesa. È stato il papa, il beato Pio IX, a estendere questa festa alla Chiesa universale nell'agosto del 1856.

La devozione affonda però le sue radici nel medioevo, quando riflettendo sul mistero di Cristo, la Chiesa e i credenti hanno cominciato a sottolineare e ad adorare l'umanità di Cristo, la sua passione, le sue piaghe.

Già san Bonaventura parlava del Cuore di Cristo, di quel cuore aperto dalla lancia da cui escono acqua e sangue, ossia i simboli della pienezza del suo amore donato per la vita della Chiesa.

Nel secolo XVII è poi esplosa questa devozione attraverso l'attività apostolica dei gesuiti e ancor più in seguito alle apparizioni a santa Margherita Maria Alacoque, che daranno vita alla pratica dei primi nove venerdì del mese. Una pratica che ebbe in epoca preconciliare una incredibile diffusione e riempì come non mai le chiese almeno in quel giorno.

Riflettiamo allora su una frase riportata nel vangelo odierno: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». Quando noi entriamo in Chiesa vediamo, generalmente sul fondo, troneggiare il Crocifisso. Guardiamo a colui che hanno trafitto, volgiamo lo sguardo al Signore innalzato sulla croce. Innalzato sia nel senso della morte sia nel senso della glorificazione.

Pochi istanti prima di morire Gesù dice: «Ho sete (cf Gv 19,28). Egli aveva chiesto da bere alla samaritana, e poi le aveva promesso un'acqua che toglie la sete per sempre (cf Gv 4,5-14). In occasione della festa delle Capanne aveva detto che da lui sarebbero sgorgati fiumi d'acqua: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva» (cf Gv 7,37). Ora egli dice: «Ho sete». Il Signore ha sete del nostro amore, della nostra adesione a lui, ha sete del nostro impegno di predicare lui e soltanto lui crocifisso (cf 1Cor 1,23).

In questo colpo di lancia che trafigge il costato del Signore non c'è soltanto il racconto storico di un fatto che serviva ad accertarsi della morte del condannato: agli altri due ladroni ancora vivi vengono spezzate le gambe perché così si affretti la loro morte, perché la morte in croce a volte era lunga e urgeva che, al tramonto del sole, quando iniziava il grande sabato che in quell'anno era anche Pasqua, i corpi dei crocifissi venissero tolti dalle croci.

Questo colpo di lancia dato al Signore ha dunque un significato più profondo: innanzitutto, dal costato trafitto di Gesù nasce la Chiesa. Questa acqua e questo sangue che escono dal suo costato sono il segno, il simbolo, dei due sacramenti che costruiscono la Chiesa: il battesimo e l'eucaristia. Non si capirebbe questa acqua che esce dal costato se non ci fosse un simbolismo molto profondo. Come da Adamo addormentato viene tolta la donna, da Cristo, nuovo Adamo, addormentato sul legno della croce, viene squarciato il fianco ed esce la Chiesa e zampillano l'acqua e il sangue, l'acqua del battesimo e il sangue dell'eucaristia.

Ma Gesù sulla croce è visto da Giovanni come l'Agnello immolato. È in Giovanni che viene usata questa espressione nei confronti di Gesù, e verrà usata anche nell'Apocalisse: l'Agnello immolato e vivente che siede sul trono accanto a Dio (cf Ap 5,6). Giovanni il Battista indica in Gesù «l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (cf Gv 1,29). Gesù è l'Agnello immolato, per questo non gli viene spezzato neppure un osso, perché così era prescritto nella liturgia ebraica riguardo all'agnello immolato per la cena della notte di Pasqua.

E allora l'espressione «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» sta a significare che volgendo lo sguardo al Signore crocifisso, noi innanzitutto cerchiamo di contemplare l'amore di Dio per noi. Sempre Giovanni ci dice che «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (cf Gv 3,16-17)

«Dare» nel verbo greco da cui viene tradotto vuol dire «consegnare», mettere nelle nostre mani, in quelle degli uomini. Allora, guardando al Crocifisso, a colui che è stato trafitto, contempliamo l'amore di Dio per noi, questo suo amore smisurato nei nostri confronti.

Ebbene, guardando il Cristo crocifisso dobbiamo imparare l'amore verso il Signore e verso il prossimo. Gesù nei discorsi dell'ultima cena, poco prima di andare incontro alla morte, dice: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (cf Gv 15,12. Dunque, impariamo l'amore verso il Signore, che non ci chiama più servi, ma amici (cf Gv 15,15). Amen.













































































a del suo cuore è abbastanza recente nella Chiesa. È stato il papa, il beato Pio IX, a estendere questa festa alla Chiesa universale nell'agosto del 1856.
La devozione affonda però le sue radici nel medioevo, quando riflettendo sul mistero di Cristo, la Chiesa e i credenti hanno cominciato a sottolineare e ad adorare l'umanità di Cristo, la sua passione, le sue piaghe.
Già san Bonaventura parlava del Cuore di Cristo, di quel cuore aperto dalla lancia da cui escono acqua e sangue, ossia i simboli della pienezza del suo amore donato per la vita della Chiesa.
Nel secolo XVII è poi esplosa questa devozione attraverso l'attività apostolica dei gesuiti e ancor più in seguito alle apparizioni a santa Margherita Maria Alacoque, che daranno vita alla pratica dei primi nove venerdì del mese. Una pratica che ebbe in epoca preconciliare una incredibile diffusione e riempì come non mai le chiese almeno in quel giorno.
Riflettiamo allora su una frase riportata nel vangelo odierno: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». Quando noi entriamo in Chiesa vediamo, generalmente sul fondo, troneggiare il Crocifisso. Guardiamo a colui che hanno trafitto, volgiamo lo sguardo al Signore innalzato sulla croce. Innalzato sia nel senso della morte sia nel senso della glorificazione.
Pochi istanti prima di morire Gesù dice: «Ho sete (cf Gv 19,28). Egli aveva chiesto da bere alla samaritana, e poi le aveva promesso un'acqua che toglie la sete per sempre (cf Gv 4,5-14). In occasione della festa delle Capanne aveva detto che da lui sarebbero sgorgati fiumi d'acqua: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva» (cf Gv 7,37). Ora egli dice: «Ho sete». Il Signore ha sete del nostro amore, della nostra adesione a lui, ha sete del nostro impegno di predicare lui e soltanto lui crocifisso (cf 1Cor 1,23).
In questo colpo di lancia che trafigge il costato del Signore non c'è soltanto il racconto storico di un fatto che serviva ad accertarsi della morte del condannato: agli altri due ladroni ancora vivi vengono spezzate le gambe perché così si affretti la loro morte, perché la morte in croce a volte era lunga e urgeva che, al tramonto del sole, quando iniziava il grande sabato che in quell'anno era anche Pasqua, i corpi dei crocifissi venissero tolti dalle croci.
Questo colpo di lancia dato al Signore ha dunque un significato più profondo: innanzitutto, dal costato trafitto di Gesù nasce la Chiesa. Questa acqua e questo sangue che escono dal suo costato sono il segno, il simbolo, dei due sacramenti che costruiscono la Chiesa: il battesimo e l'eucaristia. Non si capirebbe questa acqua che esce dal costato se non ci fosse un simbolismo molto profondo. Come da Adamo addormentato viene tolta la donna, da Cristo, nuovo Adamo, addormentato sul legno della croce, viene squarciato il fianco ed esce la Chiesa e zampillano l'acqua e il sangue, l'acqua del battesimo e il sangue dell'eucaristia.
Ma Gesù sulla croce è visto da Giovanni come l'Agnello immolato. È in Giovanni che viene usata questa espressione nei confronti di Gesù, e verrà usata anche nell'Apocalisse: l'Agnello immolato e vivente che siede sul trono accanto a Dio (cf Ap 5,6). Giovanni il Battista indica in Gesù «l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (cf Gv 1,29). Gesù è l'Agnello immolato, per questo non gli viene spezzato neppure un osso, perché così era prescritto nella liturgia ebraica riguardo all'agnello immolato per la cena della notte di Pasqua.
E allora l'espressione «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» sta a significare che volgendo lo sguardo al Signore crocifisso, noi innanzitutto cerchiamo di contemplare l'amore di Dio per noi. Sempre Giovanni ci dice che «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (cf Gv 3,16-17)
«Dare» nel verbo greco da cui viene tradotto vuol dire «consegnare», mettere nelle nostre mani, in quelle degli uomini. Allora, guardando al Crocifisso, a colui che è stato trafitto, contempliamo l'amore di Dio per noi, questo suo amore smisurato nei nostri confronti.
Ebbene, guardando il Cristo crocifisso dobbiamo imparare l'amore verso il Signore e verso il prossimo. Gesù nei discorsi dell'ultima cena, poco prima di andare incontro alla morte, dice: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (cf Gv 15,12. Dunque, impariamo l'amore verso il Signore, che non ci chiama più servi, ma amici (cf Gv 15,15). Amen.