Omelia (20-06-2021) |
don Alberto Brignoli |
Il Dio delle tempeste Quante tempeste, nella nostra vita... Non solo quelle metereologiche, che pure da noi - soprattutto per colpa dei nostri comportamenti poco virtuosi - stanno assumendo caratteristiche sempre più "tropicali", ma anche - e soprattutto - quelle che ti sconvolgono l'esistenza. Per carità: non esistono solo le tempeste brutte! Tutte quante, certo, sono devastanti: ma alcune servono davvero a portare refrigerio, a portare una ventata di freschezza in una vita troppo spesso resa piatta, accaldata, prostrata a terra dall'arsura di situazioni che ti lasciano il vuoto dentro. E allora, una bella tempesta interiore che ti sconvolge la vita e le ridona freschezza e voglia di vivere, non può che farti bene: e in questo, le tempeste d'amore la fanno da padrone... Però, in genere, noi ricordiamo solo le tempeste che devastano e distruggono, e che ci fanno paura quando anche solo iniziamo a intravederle all'orizzonte. Sono quelle tempeste che ti buttano in aria la vita, che spesso arrivano senza preavviso, e che a volte invece si fanno vive in precedenza con qualche segnale di instabilità: ma anche se cerchi di porvi rimedio, poco cambia... la loro intensità e la loro violenza non si attenuano, e devi solo sperare che tutto passi in fretta senza creare danni eccessivi. Ma non è così: le tempeste della vita devastano, distruggono, e fanno male. Quando arrivano, cerchi un appiglio, un appoggio, qualcosa a cui aggrapparti; ma spesso non trovi risposta, o se la trovi, la trovi da chi - come te - è stato colpito in pieno dalla tempesta, e lo fa perché ti capisce, perché sa cosa vuol dire, ma più di tanto, nemmeno lui può fare... C'è un ultimo appiglio al quale ti aggrappi, convinto che quello non verrà mai meno: e bussi alla sua porta, con insistenza, bussi alla porta del suo cuore, bussi alla porta di Dio. Ma anche Dio, qualche volta, tace; anzi, stando al brano di Vangelo di oggi, qualche volta Dio se la dorme. Beatamente comodo, con tanto di cuscino sotto la testa. Siamo sinceri: a chi non è capitato, e non solo una volta, di gridare, in mezzo al turbine delle fatiche della vita, "Maestro, non ti importa che siamo perduti?". Chi di noi non ha mai sperimentato l'assenza di Dio o - ancor peggio - il suo silenzio, la sua presenza silenziosa, ovvero sentire che lui c'è e che, magari anche di proposito, tace? E sì che la traversata, in questo mare-male della vita, è stato proprio lui a chiederci di affrontarla. E per di più, di sera, quando le ombre della notte si distendono e la tempesta che si avvicina le rende ancor più cupe. Noi staremmo anche volentieri a riva, dopo le belle parole che ci aveva detto domenica scorsa. Forse, però, avremmo dovuto intuire che ci attendeva una tempesta. Avremmo dovuto comprendere che, "la sera di quel giorno" in cui abbiamo ascoltato le parabole di un seme che porta frutto nonostante le avversità, forse era giunto il momento di iniziare ad affrontarle, quelle avversità: perché ascoltare il Maestro quando ti scalda il cuore e quando la folla lo osanna e lo porta in palmo di mano, è bello, facile e gratificante. Ma ricordati che sei sempre sulla riva del mare: e il mare-male è li che ti aspetta per andare dall'altra parte, sulla sponda opposta, dove vivono popolazioni straniere, ostili - forse - al messaggio di salvezza, dove non sarà facile essere accolti con entusiasmo, e dove - per arrivarci - occorre mettere in conto che una tempesta, in mare, può accadere da un momento all'altro. Del resto, siamo pescatori, dovremmo essere del mestiere, esperti nella navigazione, conoscitori di ogni singola onda del mare: e invece, spesso, imbarchiamo acqua, andiamo a fondo, non siamo capaci di dominare il mare-male che solchiamo ogni giorno (perché alla fine, a giocare con il male, resti tramortito dal male stesso...). Ad ogni modo, abbiamo con noi il Maestro: fa cose straordinarie, di cosa dobbiamo avere paura? Se la nave prende qualche colpo, abbiamo con il figlio del falegname: sarà pur capace di riparare i danni? E invece, lui se la dorme beatamente: e non può fare a finta di non accorgersi, perché il mare grosso a poppa - i marinai lo sanno bene - è duro da gestire, di certo a poppa non si può dormire. E allora, vuol dire che lo fa di proposito... come mai? Dio vuole il nostro male? Dio vuole le nostre disgrazie? Dio permette le nostre tempeste? Dio vuole che soffriamo? Auguriamoci che non sia così. Di certo, però, una cosa la vuole: che ci fidiamo di lui, ma che lo facciamo veramente, dal momento che, sulla nostra barca, l'abbiamo preso "così com'era", accettandolo nel mistero della nostra vita per quello che lui è, e non per quello che noi vorremmo che fosse. Il grande teologo Karl Barth diceva: "Dio non è il tappabuchi dei nostri bisogni, non è colui che possiamo utilizzare per colmare le nostre insufficienze. Ė proprio di una religiosità primitiva e infantile voler piegare Dio alle necessità del momento". Prendere sulla barca Gesù così, com'egli era, vuol dire accettare che lui possa anche mettersi a dormire, a tacere, a fare silenzio durante le tempeste della nostra vita. Perché se crediamo davvero che egli è il Dio della vita, che egli è veramente il Figlio di Dio (e questo è proprio lo scopo del Vangelo di Marco), allora non dovremmo temere nulla, nella vita. E lui non ce lo manda a dire: "Perché avete dubitato? Non avete ancora fede?". Come aveva fatto con Giobbe, l'uomo giusto che pretendeva spiegazioni da Dio, colui che aveva la presunzione della propria santità di fronte a lui: "in mezzo all'uragano", nei turbini che hanno sconvolto la sua vita e lo hanno portato a prendersela con Dio, si sente da lui dire "Chi ha chiuso tra due porte il mare? Chi ha fissato un limite alla sua violenza?". Non tu di certo, Giobbe... No, non sta a noi dire a Dio cosa deve fare: e se anche ci assalgono i dubbi; se due delle tre letture che leggiamo a messa finiscono - come oggi - con un punto di domanda; se anche le tempeste della vita ci sconvolgono fino a gridare a Dio ed egli sembra non ascoltare; se di lui ci viene da dire "Chi è costui?", facciamo nostre le sue parole, rivolte non solo al mare-male, ma anche a ognuno di noi: "Taci. Calmati". La tempesta, alla fine, cesserà: e prima o poi, torna sempre il sereno. |