Omelia (11-07-2021) |
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Commento su Am 7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13 L'annuncio come dono. Inviati anche ad annunciare, come il Cristo ha inviato gli Apostoli. È questo il tema che Marco ci propone oggi in questa XV domenica del tempo ordinario. Non è una pagina di facile interpretazione: il rischio è quella di banalizzarla, di dire cose scontate. Proviamo a confrontarla - è il metodo esegetico - con le analoghe pagine dell'Evangelo di Matteo (cap. X) e di Luca (capp. IX e X). Tra le molte, sono possibili due chiavi di lettura. Cerchiamo di attualizzarle nelle complesse esperienze storiche che stiamo vivendo nel nostro tempo. La prima chiave di lettura è quella del "letteralismo evangelico". Una delle tentazioni prevalenti nella storia della Chiesa (ma anche oggi) è proprio quella di una lettura letterale della Parola. Essa viene considerata come un assoluto sufficiente a spiegare tutte le situazioni, a superare tutte le tensioni, estraniandola da una mediazione storica. Il superamento di questa tentazione è un cammino non facile, come bene sanno gli studiosi che si impegnano in una esegesi storico-critica. Molti affermano che questo modello di "letteralismo evangelico" sia prevalentemente giovanile. È chiaro che la suggestione esercitata da certi schemi inusuali nel nostro tempo (a parte in alcune Chiese) e cioè una predicazione itinerante, una forte accentuazione della comunità come compensazione affettiva, un certo "radicalismo" evangelico, faccia presa sulla coscienza dei giovani. È difficile contestarlo; e tuttavia, se pensiamo alle varie esperienze "catecumenali" o "neocatecumenali", ci rendiamo conto che esse si sviluppano prevalentemente non tanto avendo come indicatore l'età, quanto piuttosto il ceto sociale. Esse sono diffuse prevalentemente all'interno di una stratificazione "borghese" (il cosiddetto "ceto medio") più esposto e più fragile nelle tensioni contrastanti del nostro tempo. Una sorta di "evangelismo" su cui così si esprime Ernesto Balducci: "È difficile... superare il sospetto che (esso) sia viziato... da una spinta ideologica latente che ricerca nel radicalismo evangelico un camuffamento dell'impotenza storica. Se è vero il sospetto, si tratterebbe di una nuova fuga mundi compiuta lungo vie non più claustrali e dagli sbocchi molto problematici". Balducci scriveva queste parole nel 1975 ("Concilium", 6/75); ma esse sono tutt'altro che datate (si pensi ad esempio a molte vocazioni giovanili nelle quali un buon psicologo non faticherebbe a riconoscere una ricerca spasmodica di identità). Non basta dunque studiare le forme attraverso le quali il messaggio cristiano può essere trasmesso; occorre anche immaginare "come" esso può essere ricevuto. Non è sufficiente annunciare correttamente il messaggio di salvezza portato da Gesù; occorre contribuire in qualche modo a farlo entrare, incarnarlo, nella realtà umana in cui siamo inseriti. In altre parola: passare dall'ortodossia all'ortroprassi. Occorre gravitare la storia dalla morte alla vita, dalla morte alla risurrezione. Non basta annunciare i valori lasciandoli sospesi a mezz'aria. Devono diventare carne (e spesso carne crocifissa). I valori incarnati uniscono, le ideologie dividono. Mi sembra dunque che il secondo modello possa essere quello del "dono". A chi gli impediva di profetizzare a Betel, Amos risponde: "Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un pastore e raccoglitore di sicomori; Il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: Va', profetizza al mio popolo Israele". Amos riconosce la sua fragilità. Appartiene a un popolo di pastori, non possiede una cultura organizzata. Eppure comprende che "profetare" rappresenta non un privilegio, ma un dono per gli altri. Questo vale anche per noi. Nel nostro impegno di "evangelizzazione", di annuncio, ciò che è fondamentale è soprattutto il fatto di riuscire a fare di noi stessi un dono per gli altri: il dono di noi stessi, in quanto persone, ad altre persone; un dono gratuito, personale e personalizzante, destinato a giungere a formare una comunità, ad aggregare attorno a una prassi di liberazione. E per questo dobbiamo fidarci, come scrive Paolo agli Efesini, della Grazia abbondantemente riversata su di noi. Ma con questa precondizione: l'aggregazione attorno a valori "calati" per terra, liberamente accolti e vissuti, non a forme ideologiche di condizionamento. E se qualcuno non accetta questo dono integrale della mia persona, che fare? È il cuore del problema. "Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro" (Mc 6,11). Anche le esperienze più difficili hanno un valore di maturazione per chi è disposto a dare tutto se stesso in quanto persona per gli altri: non è utopia, ma solo fiducia nel cuore, immaginare che la comunione arriverà, nel rispetto dei ritmi individuali di accettazione e di crescita. Ce lo ricorda anche il Salmo 84: Amore e verità s'incontreranno, / giustizia e pace si baceranno. / Verità germoglierà dalla terra / e giustizia si affaccerà dal cielo. / Certo, il Signore donerà il suo bene / e la nostra terra darà il suo frutto; / giustizia camminerà davanti a lui: / i suoi passi tracceranno il cammino.
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