Due miracoli che sgorgano dal cuore sensibile di Cristo
La parola di Dio di questa tredicesima domenica del tempo ordinario è incentrata sul tema della vita, della risurrezione e della salute. Testi particolarmente adatti al difficile periodo che stiamo vivendo con la pandemia.
ll testo del Vangelo di Marco, nel quale l'evangelista racconta e descrive in modo dettagliato, nello stile giornalistico, la cronaca di due straordinari eventi e due importanti miracoli computi da Gesù, ci riempie di gioia e di speranza, perché ci fa apprezzare due importanti valori per l'essere umano: la vita e la salute.
Ci sono alcuni elementi del testo che fanno riflettere a fondo sulla grande attenzione che Gesù ha verso le persone deboli e fragili, malate o addirittura morte. Qui vengono raccontati due miracoli riguardanti due donne, una grande e matura ed una piccola e da pochi anni affacciatasi alla vita, con i suoi 12 anni.
Nell'uno e nell'altro caso Gesù, come sempre, è dalla parte delle donne e difende le donne, rispetto ad una cultura che emarginava le donne, più o meno giovani. Qui, invece, vediamo il divino maestro che guarisce una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando.
Questa donna senza un nome viene indicata come l'emorroissa, cioè come colei che aveva perdite di sangue. Cosa che fa pensare a tanti mali tipicamente femminili del tempo di oggi, non sempre curabili.
Immaginiamo lo stato d'animo di questa donna e in quale pessime condizioni di salute si trovasse e con quali seri problemi doveva confrontarsi ogni giorno con il suo corpo, con la sua anima e con quanti aveva a suo fianco.
Ebbene questa donna avendo sentito parlare di Gesù, venne anche lei tra la folla, come tante altre persone che cercavano di incontrare Gesù, per parlargli, per esprimergli i loro problemi. Gesù non era un divo dello spettacolo, né un potente del tempo, né un politico o un ricco che dispensava beni, promesse e favori. Era semplicemente Gesù, il Figlio di Dio, accreditato ormai come guaritore, per cui molti lo rincorrevano e lo cercavano esclusivamente per questo motivo.
D'altra parte era così e sarà sempre così. Di fronte ai problemi della salute si cerca sempre di trovare una soluzione, a volte sbagliando anche strada e non incrociando sulle strade della sofferenza chi può alleggerire il peso del dolore, della malattia e della paura di morire.
Questa donna, sofferente, è convinta nella sua mente che se avesse toccato le vesti di Gesù sarebbe stata guarita. E allora fece esattamente quello che gli dettava il cuore e la mente in quel momento. Si avvicinò a Gesù e da dietro riuscì a toccare il suo mantello.
Quel tocco benedetto sprigionò dalla persona del Signore la forza della guarigione, al punto tale che a quella donna le si fermò subito il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
La cosa importante e sorprendente di questo miracolo è che in qualche modo a Gesù da questa donna gli viene strappato il miracolo e non il mantello, senza che Lui ne avesse la consapevolezza e la percezione.
La guarisce con il semplice contatto avuto per un attimo con questa anima in pena, al punto tale che Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò verso folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». Chiara espressione di Gesù di non sapere a chi avesse fatto dono della guarigione. E allora il dialogo tra Gesù e gli Apostoli diventa simpatico, ironico e per certi versi affascinante. I discepoli allora replicarono: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: "Chi mi ha toccato?"».
Gesù osserva tutta la gente che gli sta intorno per rintracciare la persona che ha ottenuto la guarigione e dal contesto si intuisce che sapeva chi era stata: una donna, la quale impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.
Potremmo domandarci quale verità? In poche parole la donna aveva necessità di esporre a Gesù il suo caso di salute, che vista la sincerità della donna, le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male». Gesù conferma in questo modo la guarigione totale di quella donna che aveva sofferto per 12 anni.
E di altro caso relativo al numero 12 è la risurrezione della figlia di Giairo uno dei capi della Sinagoga, padre di questa povera bambina dodicenne, morta prematuramente.
Gesù, come ricorda San Marco, stava lungo il mare, quando giunse da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva».
Questo uomo chiede aiuto a Gesù, ha fiducia in lui, tenta l'impossibile per salvare la figlia. E' la dolcezza e la tenerezza di un padre preoccupato per la salute della sua figlia.
Cosa successe in quel preciso momento? Mentre Giaro stava parlando con Gesù dalla sua casa qualcuno venne ad informarlo che la figlia era ormai morta, Non c'era più bisogno di disturbare il Maestro. Quanta sensibilità umana ed accortezza in questo brano del vangelo. Un testo che trabocca di umanità e sensibilità.
Un altro al posto di Gesù, ricevuta la triste notizia, avrebbe continuato a fare quello che stava facendo. Invece Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E si avviò speditamente verso la casa di Giairo insieme alla sua scorta apostolica di Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo, i tre discepoli che portava con se dovunque.
Appena giunto nella casa del capo della sinagoga, Gesù notò subito confusione e gente che piangeva, urlava forte, come capita quando muove una persona cara, specialmente se è un bambino, un giovane.
Gesù, entrato nella casa, cerca di tranquillizzare quelle persone «Perché vi agitate e piangete? E qui la grande notizia che subito trasmette ai presenti: "La bambina non è morta, ma dorme».
Immaginate che qualcuno vi dicesse di un vostro caro che non è morto ma dorme, dopo che c'è stato un referto di morte. I protocolli per l'accertamento di una morte sono stati sempre severi. In poche parole non ci troviamo di fonte ad una morte apparente, ma di una ragazza morta davvero.
Perciò la gente prendevano in giro Gesù. D'altra parte c'era abituato. L'atteggiamento dei senza fede, degli agnostici e scettici rimarrà sempre lo stesso in ogni epoca.
Se non credono in Dio non possono ammettere i miracoli. Gesù visto il loro atteggiamento di gente senza fede, cacciò tutti fuori dalla casa e prese con se solo il padre e la madre della bambina, oltre ai tre apostoli che stavano con lui, ed entrò dove era la bambina.
A questo punto Gesù procede nella sua azione di autore della vita e padrone della vita: Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni.
Poche parole e la bambina viene riportata in vita. La risurrezione di questa creatura sarà anticipo della sua risurrezione. Di fronte a questo miracolo tutti furono presi da grande stupore. Gesù poteva farsi pubblicità con questo miracolo e invece raccomandò a tutti loro più di una volta che nessuno venisse a saperlo di quello che era successo.
Il brano del vangelo di Marco si conclude con un altro gesto di umanità che Gesù chiede che venga praticato. Disse ai genitori di darle da mangiare.
Un simile brano evangelico suscita in noi che lo abbiamo ascoltato e commentato un solo atto di amore e di adorazione di Cristo, rinnovando a Lui il nostro grazie per il dono della vita, della fede, della salute e se arriva la croce e la malattia la forza di affrontarle con la certezza che Lui ci sta sempre vicino e ci accompagna lungo il percorso di una vita fatta di ostacoli, facilmente superabili se confidiamo pienamente nel suo aiuto, come hanno fatto i personaggi del vangelo di questa domenica.
Alla vita fa riferimento il brano della sapienza, prima lettura di oggi, nel quale leggiamo che Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Il nostro Dio in cui crediamo ha creato tutte le cose perché esistano. Tutto ciò che noi vediamo e gustiamo sono creature di Dio e in quanto tali sono portatrici di salvezza. In esse non c'è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. Tutto parla in questo mondo di vita e in particolare l'uomo stesso è manifestazione di questa vita divina, perché Dio lo ha creato a sua immagine e somiglianza, ovvero immagine della propria natura e quindi immortale.
Dopo la creazione è successo che nel mondo è entrata la morte per l'invidia del diavolo. E della morte ne fanno esperienza coloro che le appartengono. In poche parole la morte dell'anima è più terribile della morte del corpo e chi vive nel peccato è nella morte spirituale, da cui può uscirne solo con una sincera conversione del cuore e della vita.
Questa risurrezione spirituale porta poi ad una vita da risorti anche nei rapporti con gli altri; per cui diventiamo strumenti di vita, gioia e speranza per gli altri, come ci ricorda l'Apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di questa domenica: Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà.
Cosa comporta tutto questo. Cambiare vita e mentalità, cercando di non mettere in difficoltà alcuni per sollevarne gli altri, ma di trattare tutti allo stesso modo, ovvero che ci sia uguaglianza nel trattamento.
Intanto chi si trova nell'abbondanza, per etica umana, sociale, religiosa e soprattutto cristiana deve supplire all' indigenza di quanti sono poveri e non hanno il necessario, perché una volta che, anche loro arriveranno all'abbondanza, questi suppliscano all'indigenza degli altri. Legge morale universale per un credente è questa: dare con gioia a chi non ha nulla, specialmente se si è nell'abbondanza e nella possibilità di farlo.
Non si può chiudere il cuore alle necessità di quanti sono nel reale bisogno di ogni cosa, a partire dal cibo e a seguire. Dio ci chiederà conto soprattutto se siamo stati attenti alle necessità dei fratelli e soprattutto se siamo stati generosi con noi stessi e con quanti amano Dio con cuore sincero.
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