Omelia (25-02-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Marco 9,30-37 Le vie di Gesù non sono quelle che solitamente percorrono gli uomini. Egli, sfuggendo alla folla, è deciso a percorrere il cammino di umiliazione tracciato per lui dal Padre. I suoi discepoli, preoccupati dell'onore, sognano e seguono altre strade, talmente estranee a quella di Gesù, che essi stessi ne avvertono il disagio. Mentre Gesù cammina verso la massima umiliazione, quella della croce, essi si preoccupano di essere i primi e i più grandi. Le parole di Gesù manifestano la sua disponibilità a vivere fino in fondo il suo destino di morte e risurrezione. I discepoli, invece, sembrano vivere in un altro mondo. Essi sanno già che seguire Gesù significa dimenticare se stessi, prendere la propria croce e seguirlo (Mc 8,34), ma hanno paura. Il loro non capire, in realtà, è un non voler capire. Questa istruzione che Gesù offre ai suoi apostoli è il centro del suo insegnamento e della rivelazione: è il mistero di Dio che si consegna nelle mani dell'uomo. La parola "consegnare" unisce i vari episodi del racconto della passione: Giuda lo consegna ai capi e ai soldati (Mc 14,10.44), i capi a Pilato (Mc 15,1) e Pilato ai crocifissori(15,15). Ma il paradosso è che lo stesso Padre lo consegna, e Gesù stesso si consegna a noi. Gesù che si dona a chi lo rifiuta e lo odia, sapendo che l'avrebbero torturato e ucciso, è la rivelazione totale e definitiva di un Dio che è amore incondizionato e nient'altro che amore incondizionato. Di fronte alla rivelazione di un amore così grande, di Dio in persona che si consegna nelle mani degli uomini che egli ama, i discepoli non compresero. Non compresero che Dio è un amore così grande, che sorpassa infinitamente ogni aspettativa e immaginazione umana. Le questioni di precedenza e di eccellenza, ovviamente, interessano e appassionano gli apostoli più dell'annuncio della passione, morte e risurrezione ripetuto da Gesù per la seconda volta. La sete di potere, l'arrivismo, il desiderio di essere primi, di sentirsi superiori agli altri e di dominarli è da sempre il cancro dell'umanità. Annunciare la Parola a persone immerse in queste faccende è come gettare il seme tra le spine: "Le preoccupazioni del mondo e l'inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie soffocano la Parola e questa rimane senza frutto" (Mc 4,19). Non è male aspirare ai posti di governo nella Chiesa, anzi, può essere segno di un dono dello Spirito (cfr 1Cor 12,28). Ma è male fare della carica una questione di prestigio, di superbia: essa è unicamente una possibilità di servire di più e meglio. La sete di potere nella Chiesa rende tutti, capi o semplici fedeli, identici ai capi di questo mondo che scaricano sugli altri i pesi e i sacrifici (cfr Mt 23,4) e mandano sulla croce gli altri invece di andarvi loro, seguendo l'esempio di Cristo. Gente siffatta è del tutto incapace (e per nulla credibile) di testimoniare un vero annuncio della passione, morte e risurrezione di Cristo vissute in prima persona e sulla propria pelle. I discepoli non comprendono la parola di Dio perché hanno in testa la parola del diavolo. La parola di Gesù è amore e umiltà, quella del demonio è egoismo e protagonismo. Chi cerca il proprio io, perde se stesso, gli altri e Dio. Dopo la prima predizione della sua passione, Gesù invitò ogni discepolo a portare la "propria" croce. Questa croce è il rinnegamento del proprio falso io (Mc 8,34), la lotta contro la stupidità e l'orgoglio, che portano all'autoaffermazione a spese di tutto e di tutti. Gesù sa che ognuno vuole e deve affermarsi. Questo desiderio di grandezza l'ha posto Dio stesso nell'uomo. Chi vi rinuncia, rinuncia ad essere uomo. Ma è proprio per questo che Gesù ci dà i criteri della vera realizzazione. Alla brama di primeggiare nell'avere, nel potere e nell'apparire, egli sostituisce il desiderio di primeggiare nella povertà, nell'umiltà e nell'umiliazione: in altre parole, nel servire e nell'amare fino a morire per i propri amici e per i propri nemici. Questa è la grandezza di Dio e questa dev'essere la grandezza dell'uomo fatto a sua immagine e somiglianza. Egli è amore, e non afferma se stesso a spese dell'altro, ma lo fa crescere a sue spese; non si serve dell'altro, ma lo serve; non lo spoglia di quello che ha, ma spoglia se stesso a favore dell'altro: si spoglia anche della sua stessa vita, perché ama l'altro più che se stesso e lo considera il proprio tutto. Alla concorrenza per essere i più grandi, egli sostituisce il gareggiare per diventare i più piccoli (Rm 12,10; Fil 2,3). Il protagonismo è il criterio supremo d'azione di chi non si sente amato, non si ama e non ama. Per questo protagonismo l'uomo sacrifica la sua vita agli idoli dell'avere, del potere e dell'apparire sempre di più, distruggendo la propria realtà di immagine di Dio. Quando Adamo volle occupare il posto di Dio, fece l'errore di ignorare che Dio non sta al primo posto, ma all'ultimo. E, così, si trovò fallito come uomo senza essere diventato Dio. "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti" (v.35): questa è la norma fondamentale del nuovo popolo di Dio. Il primato dell'amore soppianta quello dell'egoismo. La libertà che ci rende simili a Dio, consiste nel diventare schiavi, liberamente e per amore, gli uni degli altri (Gal 5,13). |