Omelia (04-07-2021)
diac. Vito Calella
Signore, ci basti la tua grazia per arginare la superbia e l'incredulità

La doppia «spina nella carne» della superbia e dell'incredulità nella vita apostolica di Paolo
L'apostolo Paolo comunicava ai cristiani di Corinto che «una spina gli era stata data alla sua carne, un inviato di Satana per percuoterlo, perché egli non montasse in superbia. A causa di questo per tre volte aveva pregato il Signore che l'allontanasse da lui» (2Cor 12,7). È difficile comprendere con esattezza che cosa egli intendesse dire con quella dichiarazione autobiografica. Le varie interpretazioni possibili potrebbero essere riassunte in due.
In primo luogo la «spina nella carne» e l'«inviato di Satana per percuoterlo» potrebbero rappresentare la tentazione della «superbia». Paolo era un rabbino esperto di Sacre Scritture, si poteva insuperbire per la sua formazione biblica e per il privilegio di essere divenuto il principale apostolo dei pagani. Grazie a lui e alla sua èquipe missionaria poteva vantarsi di aver fondato numerose comunità cristiane in Asia Minore e in Grecia. Nella seconda lettera ai Corinzi è attestato il coraggio di difendere la sua autorità di apostolo di fronte ad altri missionari che invece lo contestavano e lo contraddicevano con altre dottrine, definendosi «superapostoli» (cf. 2Cor 11). Era umanamente inevitabile la spirale della competizione, cioè quel confronto interno tra diverse personalità di predicatori e tra linee pastorali diversificate. Anche l'apostolo Paolo ne fu coinvolto. La prima «spina nella carne» poteva dunque indicare i conflitti interni nello stesso corpo ecclesiale.
La seconda interpretazione di questa «spina nella carne» e di chi sia l'«inviato di Satana per percuoterlo» potrebbe essere l'incredulità dei Giudei, correlata dalle persecuzioni da loro promosse contro di lui, a causa del suo annunciare Cristo morto in croce e risuscitato. In ogni viaggio missionario Paolo fu osteggiato dai componenti della sua stirpe ebraica che non volevano credere in Gesù, il Cristo, il Messia atteso. La «spina nella carne» era quel dolore amaro di constatare la libertà dell'altro di non voler aderire alla proposta evangelica della nuova ed eterna alleanza voluta da Dio Padre per mezzo di Cristo, resa effettiva con il dono dello Spirito Santo, da scoprire già effuso nel cuore di tutti. Per Paolo, anche alla luce di Rm 9-11, era veramente difficile da capire perché tanti Giudei facevano ancora fatica ad aderire al lieto annuncio pasquale di Cristo. Quell'amarezza per lui era una sconfitta, come se fosse una «spina nella carne». Il cammino della parola di Dio procedeva tra tanti impedimenti ed ostacoli causati dall'incredulità o durezza di cuore di coloro che invece dovevano essere i più pronti e disponibili a convertirsi di fronte alla lieta notizia del regno del Padre inaugurata da Gesù di Nazaret.
La «spina nella carne» dell'incredulità degli abitanti di Nazaret nella vita apostolica di Gesù
L'esperienza dell'apostolo Paolo è il riflesso di quanto Gesù stesso aveva vissuto nella sua attività missionaria prima di affrontare l'apice della sua missione a Gerusalemme, con la sua morte di croce e risurrezione.
La fama della sua «potenza» in parole ed opere miracolose giungeva agli abitanti di Nazaret e dintorni, a partire dal centro urbano di Cafarnao, dove Gesù aveva iniziato a predicare e a operare prodigi. Quando gli fu data l'occasione di ritornare a Nazaret, dove era cresciuto come bambino e adolescente, la potenza del suo predicare destò subito l'attenzione di tutti coloro che andarono ad ascoltarlo nella sinagoga. Abbiamo ascoltato il racconto di Marco: «Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: "Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?"» (Mc 6,2). L'evangelista Marco non specifica su quale testo delle Sacre Scritture Gesù fu chiamato a dire la sua spiegazione. L'evangelista Luca invece ci ricorda che era stato consegnato a Gesù il testo di Isaia 61,1-2. Lo scandalo provocato nella sinagoga di Nazaret era stato causato dal fatto che Gesù aveva detto: «Oggi si è adempiuta la Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Gesù aveva attribuito a se stesso la figura del messia liberatore e promulgatore dell'anno di grazia del Signore, guidato dallo Spirito Santo, annunciato dal profeta Isaia (cf. Lc 4,16-21).
Per lui non era una questione di superbia attribuire a se stesso ciò che Dio aveva detto per mezzo del profeta Isaia perché aveva preparato l'intenso e potente periodo della sua missione pubblica, durata soltanto tre anni, con la scelta del silenzio e del nascondimento nella vita quotidiana lavorativa e apparentemente insignificante di quasi trent'anni vissuti tra quegli abitanti del paesino sperduto di Nazaret, insieme al clan familiare di Giuseppe e di Maria, di cui ci sono pervenuti i nomi dei suoi fratelli e sorelle, cioè dei suoi cugini. Se Gesù allora era potente in parole (sapienza nel predicare) e opere (potere di fare miracoli), in nome dell'annuncio del regno del Padre, era dovuto alla consapevolezza che tutta la sua corporeità vivente di essere umano era guidata e sostenuta dalla potente azione dello Spirito Santo, cioè dalla grazia divina.
Ma su questo punto dovette subire l'incredulità dei suoi concittadini di Nazaret. «Era per loro motivo di scandalo» l'abissale differenza tra il prima, cioè l'essere stato in mezzo a loro come un semplice e comune falegname senza mai predicare e senza mai fare prodigi, e la situazione che si presentava davanti ai loro occhi, di un uomo pieno di una sapienza che non gli apparteneva da semplice uomo e dotato del potere prodigioso delle sue mani, che non poteva essere esclusivamente umano. E dicevano: «Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?» (Mc 6,3).
La serietà con cui Gesù aveva condiviso la maggior parte della sua esistenza terrena scomparendo nella piatta quotidianità di un popolo di contadini, senza dire nulla e senza mostrarsi diverso dagli altri per i suoi poteri di guarigione e liberazione, è la base della sua autentica identità di Messia. La grazia dell'azione dello Spirito Santo, effuso su di lui come colomba nel giorno del suo battesimo al fiume Giordano, lo rendeva potente in parole ed opere a nome di Dio Padre per la proclamazione e realizzazione del suo regno di amore in mezzo all'umanità. È difficile riconoscere che Dio Padre manifesta la verità della sua sapienza e la potenza della sua azione liberatrice, risanatrice e riconciliatrice mediante la consegna fiduciosa da parte dell'uomo della povertà e del limite della sua condizione umana. Nella sua «forma di servo, Gesù, svuotato della sua forma di Dio, assunse la condizione umana umiliandosi e obbedendo al Padre fino alla morte, e alla morte di croce» (Fil 2,6-8). La sua fede, che vinse la tentazione della superbia e dell'auto-glorificazione personale, consistette nel mettere a disposizione dello Spirito Santo tutto l'esercizio della sua coscienza e libertà individuale di essere umano limitato e vulnerabile. Gesù visse da abbandonato e obbediente alla volontà del Padre in ogni istante della sua esistenza umana responsabile. Questa fu la sua «docilità di cuore» che sconfisse «la durezza del cuore di pietra» tipica di tutti gli esseri umani che ancora pretendono di cavarsela da soli, confidando unicamente in loro stessi, nelle loro forze (cf. Ez 2,2-5).
Come Gesù viveva la sua fede consegnandosi al Padre con tutto il limite della sua condizione umana e affidandosi all'agire potente dello Spirito Santo in lui, così molti poveri sofferenti, che egli aveva incontrato fuori della sua patria, vivevano la loro fede consegnandosi a Lui, che li istruiva e li guariva facendo giungere in loro la potenza illuminatrice della sapienza dello Spirito Santo e la potenza guaritrice della cura dello stesso Spirito.
Superbia e incredulità vanno a braccetto in quelle persone di tutti i tempi e di tutti i luoghi che induriscono il loro cuore e faticano a contemplare i veri profeti, inviati di Dio in mezzo a loro, nelle persone più povere e semplici che, come Gesù, nella loro povertà, si lasciano guidare dalla grazia divina.
Signore, ci basti la sua grazia per arginare la superbia e l'incredulità
L'apostolo Paolo sopportò «la spina nella carne» e vinse «l'inviato di Satana», che abbiamo identificato nella tentazione della superbia e nell'incredulità dei Giudei, vivendo, come Gesù, la sua resa o consegna all'azione dello Spirito Santo in lui, imparando sulla sua pelle che il Padre può realizzare cose grandiose solo a partire dalla consegna fiduciosa della propria povertà e debolezza umana.
Facciamo nostra l'esperienza mistica trasmessaci dall'apostolo: «Egli mi ha detto: "Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,9-10).
Come Gesù, sacerdote servo, pienamente rivolto all'obbedienza filiale al Padre, ci basti la grazia dello Spirito Santo per arginare in noi la superbia e l'incredulità, facendo nostra la preghiera del salmo: «Come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni i nostri occhi sono rivolti al Signore».