Omelia (11-07-2021) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il vero artefice Sulla scia della scorsa Domenica, si parla oggi dell'annuncio profetico ed evangelico, che viene svolto da quanti vengono scelti e inviati da Dio. La missione profetica è tutt'altro che facile, ma diventa molto sostenibile e ricca di frutti quando ci si convince che essa non procede dalla nostra iniziativa, sia pure lodevole e mirata, ma che per l'appunto è sempre Dio a eleggere e a inviare i suoi emissari. Anche per esperienza personale posso affermare che qualsiasi vocazione è di per sé un mistero, specialmente quella alla speciale consacrazione e alla missione; ma soprattutto che essa agli esordi comporta sempre una certa indecisione o paura nell'animo di chi viene scelto. Nessuno intraprende un incarico missionario senza obiettare all'inizio di non esserne all'altezza o almeno senza domandarsi se riuscirà a realizzare quanto gli viene chiesto. In tal senso, durante il periodo del Noviziato e dello Studentato i miei dubbi e le mie perplessità erano ricorrenti. Ma proprio questo è uno degli elementi della vocazione divina: essere individuati e inviati a volte senza che lo si aspetti, quando si ha per la mente un altro obiettivo. Come già era successo a Mosè e a Gedeone e ad altri profeti, la chiamata di Amos è inaspettata e repentina, si realizza nel contesto di una normalissima quotidianità. Amos afferma infatti di non essere un profeta quanto alle sue origini e di non avere cognizione alcuna di arti retoriche: è solo un pastore, un raccoglitore di sicomori, che Dio sceglie dal suo gregge deliberatamente e senza preavviso, per denunciare il guaio latente di una religiosità corrotta, nella quale i potenti truccavano le bilance e ricorrevano ai sotterfugi a vantaggio dei poveri e degli indigenti. Mentre dunque in Israele vi erano i "candidati profeti" che aspiravano a tale servizio, mentre si frequentavano le scuole di formazione profetica e i corsi di addestramento missionario, com'era prassi del tempo, Dio chiama un semplice allevatore incolto, dimostrando ancora una volta non soltanto che solo lui è all'origine di ogni vocazione, ma che la sua scelta non segue i canoni e i curricula propriamente umani. Dio non chiede curriculum, anche se ti può mettere all'altezza di un laureato o di una persona qualificata. Dio agisce liberamente nella sua elezione e nella sua vocazione, prendendo le distanze dai nostri giudizi e dai nostri parametri di scelta. E soprattutto è lui a fornire i mezzi adeguati allo svolgimento di una determinata missione perché non lascia nessuno sprovvisto e impreparato. L'invito di Gesù ai discepoli rafforza notevolmente la convinzione della scaturigine divina della chiamata. Il missionario viene scelto e inviato dal Signore e a lui deve affidarsi, anche nel suo sostentamento. Gesù è abbastanza categorico nell'inviare i suoi discepoli che invia a due a due per una missione temporanea di annuncio e di esorcismo: sembrerebbe che loro debbano confidare solamente nel supporto di un bastone, ma Dio non farà mancare loro il sostentamento necessario: la stessa attività missionaria garantirà loro ciò di cui avranno bisogno. Così come Amos, illetterato raccoglitore di sicomori, viene a trovarsi a disporre di se stesso esclusivamente nell'ottica della volontà del Signore che lo attrezza per la missione di profeta. Certo, Gesù non vuole indicare nei particolari cosa effettivamente i suoi discepoli debbano portare con sé per il viaggio: gli altri evangelisti su questo aspetto non sono del tutto concordi con Marco. Si vuole semplicemente dire che i discepoli di Gesù non possono non prendere sul serio il loro mandato, non possono che assumerlo dopo essersi immedesimati in esso e devono trovare solo in Dio la motivazione per perseverarvi nonostante le difficoltà. Il successo della missione non è obbligatorio e del resto non è neppure garantito. Gesù infatti avverte i suoi che incontreranno difficoltà e avversità e non mancherà chi tenderà di eludere il contenuto del vangelo comunicato. Essi dovranno tuttavia continuare ad operare nonostante gli scoraggiamenti, considerando che il coraggio verrà loro dallo stesso Signore e dal Signore anche la ricompensa. La missione del ministro non è mai fallimentare, anche quando sembri che i risultati del suo impegno tardino ad arrivare. Il suo lavoro arrecherà frutti, anche se a raccoglierli saranno altri. Ecco perché il latore di divini messaggi non deve demordere nel suo impegno, non deve scoraggiarsi e non soccombere alla tentazione di abbandonare il campo, ma affidarsi unicamente allo Spirito Santo, unico al quale spettano i risultati. Piuttosto, che la nostra missione derivi da una chiamata divina deve incuterci coraggio e fiducia perché siamo certi di essere sostenuti e sospinti. Colui che chiama e che attrezza ci sostiene e non si pronuncia mai con espressioni gratuite quali "Armiamoci e partite". E' lui stesso anzi ad agire dandoci sostegno ed è lui solo anche il vero fautore dei frutti e dei risultati. Questi appartengono sempre a lui e seguono tempi di eternità che sono ben differenti dai nostri ed è per questo che non ci si deve aspettare sempre dei risultati immediati. Le avversità saranno sempre all'ordine del giorno per tutti coloro che hanno deciso di seguire la chiamata peculiare del Signore, ma anche le ricompense divine sono sempre dovute. |