Omelia (18-07-2021)
fr. Massimo Rossi
Commento su Marco 6,30-34

La descrizione evangelica del ritmo di vita degli Apostoli, assomiglia assai a quello delle nostre giornate... sempre di corsa, senza un attimo di requie. La malattia del nostro secolo è lo stress, e lo stress produce una serie di altre malattie, dalla gastrite all'artrosi cervicale, dall'emicrania ai vari disturbi del sonno.... Per non parlare dell'umore: nevrastenia, isteria, violenza verbale e non...
Le relazioni ne risentono, inutile dirlo... La nostra vita - ne siamo convinti! - non è come quella dei nostri genitori, dei nostri nonni,... Una volta non si sapeva neanche cosa fosse lo stress!
E invece, sembra che anche ai tempi di Gesù, la gente fosse stressata una cifra....
Farsi uomo, farsi uno di noi, per il Verbo incarnato, significò allinearsi ai ritmi umani, che sono questi, oggi, come ieri, come sempre... E temo che il trend sia in crescita: lo dimostrerebbe il fatto che si inventano strumenti sempre più elaborati e capaci, ai quali affidare la maggior parte dei lavori umani, per sollevarci da alcune fatiche, per economizzare il tempo, abbassando i costi, ma anche ritagliarci un'ora di tregua e riguadagnare il sacrosanto diritto al riposo.
Ricordo che il riposo festivo possiede un'alta valenza religiosa e, più in generale, spirituale, almeno secondo gli intendimenti di Dio, rivelati dalla Genesi. La pausa dal lavoro, o "settimo giorno" ha un valore particolare, come interferenza, come impertinenza, rottura di un ritmo, quello lavorativo, che ha, nostro malgrado, capovolto i termini del gioco: non è più l'uomo ad essere padrone di sé e del suo lavoro, ma è il lavoro a inglobarlo nel sistema produttivo, trasformandolo in una ‘semplice' variabile della produzione, per giunta addirittura sostituibile... Il lavoro non è funzionale alla persona, ma, al contrario, è la persona ad essere funzionale al lavoro.
Negli intendimenti del Creatore, l'introduzione del riposo sabbatico restituisce - almeno dovrebbe, il condizionale è d'obbligo - all'uomo (e alla donna) la sua originaria dignità.
Pensate un po': quando il lavoro rischia di fagocitare l'uomo, il valore della sua dignità si riconquista con il riposo.
Tuttavia, a pensarci bene, lavoro e riposo non sono in conflitto; casomai sono complementari: due ingredienti in ugual misura necessari, per salvaguardare l'equilibrio psicofisico della persona.

Ho già introdotto il valore religioso del riposo: è venuto il momento di uscire dal vago, dal generico, dall'indeterminato,... Entriamo dunque nel dettaglio.
...E non è un dettaglio la constatazione che il Figlio di Dio non si riposa, mai... Quattro anni - qualcuno dice 7 - vissuti spericolatamente, senza risparmiarsi, a insegnare, guarire, annunciare il Vangelo, ribattere alle obbiezioni dei sommi sacerdoti, cacciare gli spiriti immondi, risuscitare i morti,...

Un elemento da tenere doverosamente in conto è la totale libertà di Gesù dai vincoli della Legge; non tanto perché il Messia è superiore alla Legge di Mosè e degli uomini, ma perché il tempo e il lavoro della salvezza non è quello scandito dalla legge. La libertà di gestire tempi ed energie, quando non siamo, tenuti a fare o non fare, appunto, per legge, costituisce un valore aggiunto che fa del bene qualcosa di più del semplice bene umano; è il bene cristiano, o secondo Cristo.
Attenzione, però, non fraintendetemi: poter decidere discrezionalmente se e quando operare il bene, non toglie nulla al bene fatto in forza della propria professione, o del ruolo ricoperto in famiglia.....


Il bene è sempre bene, ma farlo per Cristo, con Cristo e in Cristo acquista una dignità, un valore, un peso maggiori; la dignità, il valore, il peso della carità cristiana.
Anche una professione può diventare occasione per realizzare l'imperativo cristiano della carità.
Ecco che torna il già più volte affrontato discorso sulle motivazioni per fare (o non fare) il bene, onorando i doveri professionali, familiari, di studio, di servizio,...
Porre la questione di senso di ciò che facciamo (o non facciamo) costituisce un buon modo di procedere, per mantenere svegli i sensi esterni ed intenti, evitando altresì di scadere nella routine, a causa della quale tutto perde sapore, entusiasmo, mordente, compreso il bene che realizziamo.
Il troppo lavoro, non solo produce stress, ma anche cristallizza, cronicizza i meccanismi che trasformano, lo ripeto, un'opera, un lavoro, un servizio volontario, in un tran tran quotidiano, in una routine che mortifica lo slancio, ma anche la buona disposizione verso coloro che ne beneficiano... Il bene da realizzare e la catena di montaggio, o produzione in serie, non sono mai andati d'accordo.
Porre la questione di senso e interrogarci sulle motivazioni ultime che ci spingono a compiere un'azione, sia essa un lavoro da fare, o una parola da dire, ci salva anche dalla noia della ripetitività.
Ricordiamo che nel Vangelo si trovano molte descrizioni di guarigioni operate a vantaggio di persone diverse; ebbene, è proprio la diversità dei destinatari, ciascuno con la sua unicità e originalità, che rende intrinsecamente diverso, cioè nuovo, il miracolo operato dal Signore.
Anche noi possiamo fare di ogni nostra azione qualcosa di nuovo, di unico, se appena spostiamo lo sguardo da ciò che stiamo facendo, a colui, colei, coloro, per i quali lo stiamo facendo.
La carità si ripete... ma non è mai la stessa.