Omelia (11-07-2021)
padre Antonio Rungi
Lì mandò in due a predicare e a sanare

Il Vangelo di questa XV domenica del tempo ordinario ci parla del mandato missionario che Cristo assegna agli apostoli per far liberare le persone dagli spiriti impuri.

Questo mandato di liberazione dal male avrà una sua valenza nell'azione missionaria nella misura in cui gli apostoli si presenteranno alla gente spogli di tutti, nella povertà assoluta e nella condizione di itineranti non per un attimo, ma per sempre,

Le regole che Gesù detta perché i suoi discepoli siano espressione della serietà del Maestro sono poche, ma fondamentali per perseguire l'efficacia della missione: non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone, né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.

Possiamo bene dire che lo stile povero del missionario lo rende credibile nella sua azione. Quanto c'è da imparare da Gesù e dagli apostoli noi missionari di questo terzo millennio, che viviamo nelle comodità ed utilizziamo strumenti e mezzi sempre più potenti e che dell'itineranza ne facciamo solo un pio desiderio.

A bloccare questo nostro bisogno di camminare per evangelizzare è subentrata anche la pandemia che di fatto a bloccato l'attività missionaria in presenza, dando solo spazio all'evangelizzazione a distanza. E' tempo di riprendere lo stile missionario dell'itineranza. E' vero che ai tempi di Gesù non cerano tutte queste possibilità e tecnologie, né mezzi di trasporto veloci come quelli attuali, ma a ben raccogliere le indicazioni del Maestro bisogna convenire sul fatto che Gesù aveva raccomandato ai suoi discepoli che dovunque entravano in una casa, dovevano rimanerci finché non sarebbero partiti di lì. Accogliere i missionari era un obbligo religioso da parte di tutti, perché ogni pellegrino aveva diritto ad essere ospitato con carità e disponibilità. Però, in tutte le cose, c'è sempre l'opposto, la difficoltà di essere accettati ed anche aiutati. Per il quale motivo, già preventivato e considerato da Gesù, egli raccomando loro che se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro. In poche parole, Gesù vuole preparare gli apostoli al rifiuto da parte di quei luoghi e città dove andranno.

La storia missionaria della Chiesa, da 2000 anni, è segnata da accoglienza e rifiuto, da appoggio ed ostilità, da amore e contrasto ed opposizione. Tuttavia, nonostante le difficoltà il vangelo continua a viaggiare attraverso le nuove forme di evangelizzazione e mediante le nuove tecnologie per raggiungere sia fisicamente che virtualmente ogni angolo della terra, in quanto nessuno uomo di questa terra deve essere privato dalla possibilità di conoscere Cristo, unico salvatore del mondo, e adire alla sua religione nella libertà di culto e fede che ogni persona della terra deve pure poter esprimere. Bisogna dire che questo coraggio missionario mai è venuto meno nella Chiesa ed ancora oggi, tanti sacerdoti, religiosi in particolare, fedeli laici, lasciano la propria casa e la propria patria per andare missionari e portare la gioia del vangelo nei luoghi più abbandonati e dimenticati della terra. Gli apostoli dietro l'invito di Gesù non stettero a programma il come, il cosa, il dove e il quando avviare la missione, ma essi, partiti subito, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

L'esempio dei santi apostoli spinga i missionari e gli apostoli di oggi a mettersi a servizio del vangelo, senza troppi ostacoli che volutamente si ergono per non partire ed andare. Oggi soprattutto, dopo un anno e più di pandemia, la necessità di ricominciare anche in campo missionario e di apostolicità lo capiamo tutti, perché non possiamo rimanere chiusi nelle nostre paure ed aspettare che i tempi maturino per una semina più abbondante. Ma non è questo lo stile di un vero discepolo di Cristo che non può temporeggiare in attesa di tempi migliori, ma deve osare e avere il coraggio come Abramo, lasciando la propria terra e le proprie abitudini e comodità per andare, dove il vangelo e la chiesa lo chiama. E ciò non riguarda solo i preti ed i religiosi ma ogni battezzato, perché apostoli lo siamo tutti in quanto il battesimo ci abilita a questo a partire dalla famiglia, dal territorio, dai luoghi della nostra quotidianità e per poter andare oltre non solo geograficamente ma soprattutto oltre ci nostri confini ideologici e pregiudizi do ogni tipo. Il Vangelo è di tutti e per tutti e la salvezza riguarda tutto il genere umano e non soltanto una parte di essa.

Portare a conoscenza il mistero della salvezza e redenzione operata dal Cristo mediante la sua morte, risurrezione ed ascensione al cielo è compito dei pastori della Chiesa ma anche del gregge.

Ora davvero è tempo della ripartenza, dopo un anno di pandemia, anche nel campo dell'apostolato, della missionarietà e della pastorale in presenza. L'estate potrà essere una valida opportunità per riprendere almeno la pastorale del turismo, dello sport e dello spettacolo che pure ha una parte importante nella recezione e nella trasmissione del vangelo della redenzione.


Il compito ci potrà essere facilitato prendendo a prestito quello che hanno fatto gli antichi profeti del popolo di Israele come Amos, di cui ci parla la prima lettura di questa domenica. Viene scelto da Dio e lui va per la strada che il Signore apre davanti a lui convinto della sua chiamata e della sua missione, nonostante i contrasti del sacerdote di Betel, Amasia: «Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va', profetizza al mio popolo Israele». Di fronte a questo comando il profeta va per questa strada e svolge in pieno la sua missione, senza prendere in considerazione delle minacce ricevute da Amasia, sacerdote di Betel: «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno». Lui fece come il Signore gli aveva comandato. Bisogna avere il coraggio che solo il cielo può dare a noi esseri mortali, timorosi per troppe cose.


Nel brano della seconda lettura, tratta dalla lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini, trovami la sintesi teologica della nostra vocazione e missione e tale vocazione e missione si inquadra nel contesto della parola di Dio di questa domenica, soprattutto con il testo del Vangelo. Alcune espressioni ci aiutano a capire questo grande mistero della vita e della redenzione: Dio ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d'amore della sua volontà. In Gesù Cristo mediante la passione e morte in croce, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe. In Gesù Cristo Dio ci fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi. Tutto si deve ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In Cristo siamo diventati eredi della vita eterna, nella misura in cui siamo docili allo Spirito Santo e ci facciamo guidare dalla grazia che ci porta a vivere vicini a Cristo e ai fratelli e non lontani da lui e da quanti sono davvero noi fratelli nella fede e nell'umanità.