Omelia (27-02-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Marco 9,41-50 Al tempo di Gesù, c'erano i maestri della legge che con il peso della loro autorità e con la minaccia delle loro scomuniche (cfr Gv 9,22; 12,42) cercavano di impedire alle persone semplici di seguire Gesù. Lo scandalo, di cui parla il vangelo, è tutto ciò che impedisce a qualcuno di seguire Dio per giungere alla salvezza. Per un uomo che svia gli altri dalla fede in Cristo sarebbe meglio, secondo la parola di Gesù, che fosse gettato in mare con una grossa pietra attaccata al collo. Piuttosto che far perdere la fede anche a uno solo, sarebbe meglio morire. Questa espressione ci richiama le parole pronunciate da Gesù nei confronti di Giuda: "Meglio sarebbe per lui, se non fosse nato"(Mc 14,21). Frasi di questo genere non vanno prese come sentenze di condanna diretta e immediata, ma piuttosto come delle espressioni che servono a far capire meglio la mostruosità dell'azione. Nell'applicare queste parole di Gesù, la comunità cristiana non intese limitarle solo ai bambini, ma a tutti i fedeli della comunità che venivano tentati a rinunciare alla fede. E' sempre una cosa estremamente grave mettere in pericolo o distruggere la fede nel cuore dei semplici. La serie di sentenze riguardanti le membra del corpo divenute occasione di caduta morale, mostra quanto sia radicale l'esigenza di Gesù dal punto di vista etico. Per lui l'argomento della salvezza è così grave, che bisogna compiere ogni sforzo per entrare nel regno di Dio (cfr Lc 13,24). Quando è in gioco la nostra salvezza eterna, non ci si può accontentare delle mezze misure. "Il fuoco inestinguibile" e "il verme che non muore" (v.48) sono due modi di dire che si ricollegano all'Antico Testamento (Is 66,24). Nel testo di Isaia si parla degli uomini giudicati da Dio, i cui cadaveri ammassati nella valle dell'Hinnon, situata a sud-ovest di Gerusalemme, sono abbandonati privi di sepoltura alla corruzione (verme) e al fuoco distruttore. Dal nome della valle di Hinnon (in ebraico ge-Hinnon) deriva la parola Geenna. Era la discarica di Gerusalemme. Il "non entrare nella vita", il "non entrare nel regno di Dio" significa il fallimento del fine ultimo della vita, il non entrare nella vita eterna di Dio: è il fallimento totale dell'esistenza, è il diventare "rifiuti" da gettare nella discarica per essere bruciati, perché inutili, ingombranti e maleodoranti. C'è qui un invito pressante a scoprire l'assoluta importanza di seguire Gesù per non perdere irrimediabilmente il dono della vita presente e futura. Il fuoco che "sala" si riferisce sia al castigo che punisce i peccatori conservandoli, sia al fuoco che purifica i fedeli per farne vittime gradite a Dio (cfr Lv 2,13). Il sale e il fuoco fanno pensare alla purificazione che i discepoli devono attuare attraverso la persecuzione e la sofferenza. Può essere un spiritualizzazione di Lv 2,13: similmente ai sacrifici dell'Antico Testamento, anche il sacrificio di sé dei cristiani dev'essere salato dal fuoco dello Spirito santo (cfr Mt 18,3; Mc 8,35; Gv 3,5). "Abbiate sale in voi stessi". Come in Mt 5,13, questo detto è rivolto ai discepoli; essi devono purificare il mondo senza lasciarsi contaminare da esso. Il sale va dunque interpretato come simbolo di tutto ciò che si oppone allo spirito del mondo e di tutte le disposizioni che favoriscono la pace nella comunità: lo spirito di servizio, di attenzione agli altri, di stima per loro, di rinuncia a se stessi e alla propria volontà di grandezza e di potenza. Tutto ciò è stato proposto dopo il secondo annuncio della Passione e della Risurrezione. Vi è una grande coerenza tra quello che Gesù rivela circa la sua passione e quello che richiede ai Dodici. La morale cristiana non si deve mai insegnare per se stessa, ma come una partecipazione al modo di essere di Gesù. "Siate in pace gli uni con gli altri". E' un'allusione alla disputa (Mc 9,33-34) che aveva occasionato tutta questa seconda parte del capitolo. L'amore fraterno esclude atteggiamenti di rivalità nel servizio del vangelo. |