Testimoni maestri
Nel tempo della comunicazione telematica globalizzata e della ‘dittatura' degli influencers, la figura di Gesù che insegna "molte cose" alla folla smarrita risulta a dir poco provocante. La quotidianità della gente, oggi come non mai, è invasa di notizie, informazioni, messaggi e soprattutto dell'illusione di essere a conoscenza della verità dei fatti. Con la conseguenza, oggi come non mai, di un senso diffuso di smarrimento e di insicurezza, che fa desiderare - più o meno consapevolmente - di trovare un maestro degno di tale nome.
Che cosa rende affidabile una affermazione in TV o postata sui social?
Come si esercita la difficile arte del discernimento dentro un fiume di parole e soprattutto di immagini che non hanno più l'ordine garantito da una autorità riconosciuta? Chi decide se una notizia è da diffondere oppure no? Chi indica il confine tra il pubblico e il privato? Dove sta la verità?
Potremmo continuare a oltranza. Le problematiche suscitate dalla rivoluzione digitale rispetto alla dimensione della comunicazione, che è il tratto più vitale della relazione, sono alla luce del sole, più volte richiamate anche dagli interventi di papa Francesco e dei suoi predecessori.
Gesù era un grande comunicatore.
E la folla, come pure i suoi discepoli, come noi oggi, erano assetati di verità e di parole buone. Erano bisognosi di trovare un senso al proprio viaggio, una direzione al proprio cammino. Emblematico questo spostamento di massa lungo le rive del lago di Tiberiade per - letteralmente - rincorrere colui che ha destato nei loro cuori una speranza finora sepolta sotto ceneri di sfruttamento, paura, rigorismo. Le migrazioni ci sono sempre state, anche nei piccoli territori della vita feriale. Ci si sposta per tanti motivi, ma soprattutto per andare incontro a qualcosa o qualcuno che risveglia la nostra voglia di vivere. Ci si sposta per avere il diritto di esistere.
E una parola affidabile dà tanta motivazione alla propria esistenza.
Di fronte alla moltitudine affannata e stanca, ma soprattutto sperduta come un gregge senza pastore, l'azione più caritatevole che Gesù sa fare è insegnare. Con autorevolezza, come oggi raramente capita di sentire.
In un tempo in cui ci si arroga il diritto di sentenziare su tutto, spesso senza sapere nemmeno di cosa si stia parlando, e generando di frequente un clima di violenza e di reciproca ostilità - indice evidente dell'incapacità di un dialogo costruttivo e maturo -, ci chiediamo con trepidazione come riconoscere la fonte autorevole di una parola credibile.
Ed allora risulta necessario spostare l'obiettivo dai contenuti alla relazione. Non perché i contenuti non siano importanti, ma perché prima della testa va intercettato il cuore. Lo sanno bene gli esperti di comunicazione, che giocano armi insidiose nel suscitare una emotività esagerata, favorendo le seduzioni e le manipolazioni. Quanto sono vulnerabili, in questo terreno, le nuove generazioni, così abili nell'arte del digitale e così sprovvedute nella gestione dei propri affetti!
La forza di Gesù, e la sua verità, sta nella compassione.
Che si trasmette ai suoi discepoli. Un movimento di viscere, un sussulto paragonabile soltanto all'utero materno che genera vita. Le proprie preoccupazioni e le proprie urgenze, inclusa la fame, passano in secondo piano, perché davanti a tutto balza il bene di coloro che stanno lì, affamati e assetati di pace, di giustizia, di consolazione.
La compassione è la capacità di sentire il dolore dell'altro facendosene carico.
Ma è anche e subito la forza di scegliere un gesto a favore dell'altro, un'azione concreta che generi la vita, una decisione operativa per attivare nuove risorse nelle persone più deboli. La compassione è questione del cuore in senso biblico: è sentimento e volontà insieme. Mai si limita a qualche lacrima di sensibilità superficiale, che vola via come una foglia al vento non appena si è spenta l'immagine dallo schermo.
La compassione incide la passione dell'altro e per l'altro come un sigillo nel proprio cuore. Ecco l'autorevolezza di Gesù. Comprovata dal suo stile di vita, che include una essenzialità di rapporti e la capacità di prendere le distanze per lasciare libero l'altro. Serve, a volte, un abbraccio o una pacca sulla spalla; ma serve anche, altre volte, un allontanamento che permetta alla persona di alzarsi in piedi e fare il proprio passo da adulto e non più da infante. Serve, perché tutto ciò sia efficace, una fedeltà e una coerenza tra patos, logos e praxis: sentire, dire e fare, come un'unica realtà che mostra ciò che si vive dentro.
In questo tempo di rivoluzione tecnologica, urgono maestri che siano testimoni, ma anche testimoni che sappiano diventare maestri. Perché della compassione sia impregnata la meravigliosa e difficile arte dell'educazione.