Omelia (25-07-2021)
padre Gian Franco Scarpitta
La Parola, il Pane e la Vita

La volta scorsa osservavamo Gesù che rinunciava al legittimo riposo lontano dalla turba, un po' perché costretto dagli eventi, un po' perché commosso dall'insistenza della folla di persone che si erano messe sulle sue tracce, comportandosi come "pecore che non hanno pastore" e pendendo così dalle sue labbra. Gesù volentieri si intrattiene con loro per insegnare loro molte cose di sapienza divina. Lo stesso evangelista Marco, proseguendo la sua narrazione, descrive Gesù mentre compie un ulteriore gesto di amore e di considerazione per questa opprimente turba di popolo: i suoi discepoli si accorgono che ormai è tardi e che tutta quella gente non ha mangiato; invitano quindi Gesù a congedare la folla affinché vada per i villaggi e per le campagne a procurarsi del cibo. Gesù però, procurati cinque pani e due pesci organizza un pasto improvviso: fa sedere sull'erba tutta quella gente e miracolosamente moltiplica pani e pesci. La versione di Marco (6, 34 - 44) è del tutto simile a quella odierna di Giovanni, con l'eccezione che Gesù mette alla prova Filippo domandandogli: "Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?" Probabilmente Gesù voleva che il discepolo considerasse da sé che l'ascolto della Parola da parte del popolo poteva essere foriero di benefici copiosi di ogni genere, anche che la gente venisse sfamata dal punto di vista fisico. La Parola di Dio, quando ascoltata e assimilata con fede, quando diventa caratterizzante della nostra vita, è essa stessa nostro alimento e nulla vieta che possa procurare alimento anche in senso lato. Concedersi all'ascolto attento di quanto Dio ci comunica costituisce alimentazione stessa, perché la stessa Parola si fa per noi alimento e in essa si fonda il criterio eloquente anche per l'alimentazione in senso materiale.
Così infatti avviene in quel luogo vasto e spazioso nel quale la gente si adagia sull'erba: subito dopo aver impartito le sue istruzioni al popolo che aveva considerato come una folla di pecore senza pastore, Gesù provvede a sfamare tutta quella gente. Il fatto che due evangelisti raccontino quasi gli stessi particolari della moltiplicazione dei pani e dei pesci è allusivo non soltanto alla storicità di questo evento, ma anche alla pienezza del suo significato: Dio in Gesù Cristo soddisfa sempre la fame dell'uomo. Un anticipo della moltiplicazione dei pani lo abbiamo descritto del resto nella Prima Lettura, che vede come protagonista Eliseo, uomo di Dio, che ha appena risuscitato il figlio della vedova sunamita e ha reso poi commestibile una pietanza avvelenata. Ottenuti 20 pani da uno sconosciuto, li moltiplica per soddisfare la fame di cento persone. Si tratta di un uomo "di Dio", di un profeta che da un segno dell'amore e della misericordia del Padre, che a sua volta provvede al sostentamento materiale del suo popolo anche nella circostanza della manna nel deserto, che a sorpresa di buon mattino gli Israeliti trovano durante il loro pellegrinaggio nel deserto (Es 16, 14, 17). A proposito di questo, alcuni commentatori osservano che la manna superflua o avanzata non andava raccolta poiché "periva"; Gesù invece ordina ai suoi discepoli che venga raccolto tutto il pane avanzato, perché nulla vada perduto. Poiché del pane avanzato vengono riempite ben dodici ceste, pari alle dodici tribù di Israele o ai dodici apostoli (il numero indica la pienezza della maturità di un progetto umano) vuole attestare che tutto questo pane, affinato alla Parola di Dio, non solamente non perisce, ma diventa pane di vita. Cosa che diventa effettivamente indiscutibile nello stesso Cristo, che qualificherà se stesso "pane vivo disceso dal Cielo", del quale tutti sono inviati a nutrirsi per la salvezza e per la vita. Il pane cioè dell'Eucarestia. Anche se fra le versioni di Marco e Giovanni vi sono tante similitudini, in Giovanni non possiamo non considerare una grossa differenza: l'evento non si conclude con la fine della cena miracolosa a base di pane e pesce, ma ha un suo seguito, quello della spiegazione del senso fondamentale di quanto è avvenuto. Gesù ha sfamato tutto quel popolo, sia spiritualmente che materialmente, perché Egli stesso è il "pane vivo disceso dal cielo" e che è indispensabile mangiare la sua carne per avere la vita sia al presente che nell'eternità (Gv 6, 50 ess).
Sui vasti prati di erba è avvenuto che la Parola diventasse pane e la soddisfazione della fame fisica di tutta quella gente è stata iconica e rappresentativa del nutrimento atto a soddisfare la fame universale più profonda dello stesso Verbo divino. Nel Sacramento dell'Eucarestia analogamente avviene che la Parola, comunicata dallo stesso Signore ad elevazione della comunità radunata, diventa Pane vivo disceso dal cielo per opera dello Spirito Santo (epiclesi) nelle famose parole pronunciate dal celebrante sul pane e sul vino. Questi diventano realmente e sostanzialmente il Corpo del Signore; Gesù presenzia nella sua integrità reale e sostanziale quando la sostanza del pane e del vino mutano in quella del suo Corpo e del suo Sangue. Nella celebrazione dell'Eucarestia è la stessa comunità cristiana che condivide un unico pane di comunione e di solidarietà secondo l'espressione di Paolo: "Noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo; tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (1Cor 10, 17).
Ne deriva che la Parola che era fin dal principio, il Verbo Gesù Cristo per mezzo del quale Dio aveva creato il mondo, dopo essere stata accolta e condivisa, diventa alimento, pane inesorabile per la nostra vita. Nutrirci sempre di questo alimento, comunicare con il Padre per mezzo di Cristo che lo Spirito Santo ha reso presente in una piccolissima forma di pane, assumere il Corpo del Signore nelle sembianze di un comunissimo composto di acqua e farina vuol dire fare ingresso nella verità e di questa verità vivere costantemente per avere la "via, la verità e la vita". Vivere della Parola che non resta emissione fonetica, ma che realizza ciò per cui Dio l'ha inviata.