Omelia (28-02-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Marco 10,2-16 Da quando gli uomini si sono ribellati a Dio hanno continuamente sperimentato il male della divisione e non riescono più a capire un discorso serio sull'unità. Ma il cristiano deve capire. Se egli crede che Cristo è morto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi (Gv 11,52), e fare dell'umanità una sola grande famiglia, deve trarne le conseguenze ad ogni livello, anche a quello matrimoniale. Al tempo di Gesù, il divorzio era ammesso sulla base di un testo del Deuteronomio, 24,1: "Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via da casa". Per capire bene la legge del Deuteronomio (che in realtà è una permissione) e non degradare la parola di Dio, dobbiamo fare un po' di storia. Come la legge del taglione (che consiste nell'infliggere al colpevole lo stesso danno da lui inflitto alla vittima: Es 21,23-25; Lv 24,17-20; Dt 19,18-21) tendeva a limitare gli eccessi della vendetta (cfr Gen 4,23-24), così la legge del divorzio è una legge restrittiva. All'inizio, l'uomo sposato, in Israele, godeva il diritto quasi assoluto di ripudiare a suo arbitrio la sua sposa. Il Deuteronomio 24,1 limita appunto questo barbaro arbitrio: è un primo argine per riportare il matrimonio nell'alveo voluto da Dio all'inizio della creazione (Gen 1,24; 2,4). E, come la legge del taglione sarà superata dal comandamento dell'amore (cfr Mt 5,38-48), così la legge del divorzio, "permesso per la durezza del cuore", cioè per colpa dell'egoismo, sarà superata dal comandamento dell'indissolubilità del matrimonio. Nell'Antico testamento viene lodata la fedeltà coniugale (Pr 5,15-20), e il divorzio è considerato riprovevole, sebbene in alcuni casi venisse tollerato "per la durezza di cuore". Il legislatore non solo pone limiti al divorzio, ma cerca di renderne difficile l'attuazione: la dote pagata ai familiari della sposa non viene restituita, e se l'uomo voleva contrarre nuove nozze doveva sobbarcarsi l'onere di un nuovo contributo. I profeti cercano di limitare la possibilità di ripudio della sposa ai casi di adulterio (Os 2,4; Ger 3,8). Malachia è colui che difende con maggiore chiarezza l'indissolubilità del vincolo matrimoniale: Dio in persona, per mezzo del matrimonio, fa dell'uomo e della donna una carne sola, una sola vita; l'uomo che ripudia la propria moglie si carica di una grande responsabilità davanti a Dio che detesta il ripudio (Ml 2,14-16). Tuttavia, l'insegnamento positivo dell'assoluta indissolubilità del matrimonio lo troviamo solo nel Nuovo Testamento. Gesù indica Gen 1,27 e 2,24 come la ragione per la quale il matrimonio è indissolubile Egli si richiama alla volontà del creatore: il Dio unico crea l'uomo a sua immagine, fondando l'unità indissolubile del matrimonio. E' Dio stesso che unisce l'uomo e la donna. La sua parola creatrice opera la "congiunzione" dei sessi. Così dunque la posizione di Gesù è senza ambiguità: rifiutando decisamente la poligamia, condanna contemporaneamente il divorzio seguito da seconde nozze, qualunque ne sia il motivo, fondandosi sui valori originari dell'unione coniugale indissolubile. Così le interpretazioni rabbiniche si trovano definitivamente scavalcate nel senso già indicato dal profeta Malachia, per il quale ripudiare la propria moglie equivale a rompere l'alleanza di Dio col suo popolo, perché questa si incarna nell'unione degli sposi (Ml 2,13-16). Gesù non è venuto per abolire la Legge e i Profeti, ma per dare compimento (Mt 5,17). Con il dono del suo Spirito, Gesù ci libera dalla durezza di cuore e ci rende nuovamente capaci di vivere ciò che era "in principio". Il discepolo scopre in Gesù la vera dignità dell'uomo: essere partner di Dio che lo ama infinitamente. Egli vive il matrimonio come immagine di questo grande mistero. Presso molti popoli, anche ai nostri giorni, l'uomo acquista la donna comprandola dalla sua famiglia; essa diventa sua proprietà che può abbandonare quando non gli serve più. Chiaramente questo tipo di rapporto fondato sul possesso non è secondo il disegno di Dio, perché il rapporto tra Dio e l'umanità, di cui il matrimonio è segno o sacramento, è un rapporto di amore, non di possesso. L'uomo può possedere le cose e gli animali, non un altro uomo. Al di là della forma, anche presso di noi il matrimonio è spesso un possesso, una compravendita di mutue relazioni, una prostituzione reciproca. Il matrimonio, invece che amore e servizio, diventa egoismo e sopraffazione. Si sta insieme finché dura l'interesse del più forte. Quando cessa l'interesse, ossia l'egoismo, l'uso dell'altro, la strumentalizzazione, cessa tutto. Tutto questo succede perché l'uomo e la donna sono malati di durezza di cuore. Il cuore dell'uomo è indurito, è egoista, non è capace di amare: questo è il suo peccato, il suo fallimento a tutti i livelli. Solo con Cristo, la creazione raggiunge il suo fine: torna ad essere come Dio l'ha pensata fin dall'inizio. Anche il matrimonio trova il suo significato esclusivamente in Cristo. Fuori di lui non esiste nulla e nulla ha senso (cfr Ef 1,4; Col 1,16-17). |