Omelia (01-08-2021)
don Alberto Brignoli
Vita precaria, ma eterna

Oggi che abbiamo conoscenze scientifiche che secoli e millenni fa non avevamo, tante cose naturali che avvengono nel mondo le possiamo spiegare, appunto, in modo scientifico. Eppure, anche tanti misteri della natura, sia pur spiegabili naturalmente, rimangono dei misteri.
Uno stormo di quaglie che provenendo dal nord fanno tappa nel deserto del Sinai per riposarsi nella loro trasmigrazione verso il sud, può essere un fenomeno del tutto naturale, e lo stesso si può dire dei semi di una tamerice che, all'apice della fioritura, il vento disperde sul terreno permettendo di sfruttarne le qualità a volte particolarmente nutritive che li rendono una vera e propria "manna" per chi non ha altro da mettere sotto i denti: ma nel momento più critico della storia del popolo d'Israele, entrambi questi fenomeni naturali possono assumere un significato misterioso, e soprattutto provvidenziale.
Quella che la Liturgia della Parola di quest'oggi ci pone davanti è la possibilità di assumere una visione religiosa, mistica, dei fatti che succedono nella vita, a volte in maniera naturale, a volte con una certa straordinarietà, ma certamente mai privi di un significato che vada ben oltre quello puramente fisico, ossia oltre "ciò che appare". Questa visione mistica e piena di senso porta l'uomo a farsi delle domande. A volte sono domande di ricerca di senso ("che cos'è?", si chiede il popolo di fronte alla caduta della manna); a volte, invece, sono domande esistenziali che ricercano ugualmente un senso, ma spinte dalla drammaticità di situazioni che fanno addirittura mettere in dubbio l'esistenza di Dio (poco più avanti, al capitolo 17 dell'Esodo, l'acqua dalla roccia di Massa e Meriba porterà il popolo assetato a chiedersi: "Ma Dio è con noi sì o no?"). E il cammino dell'Esodo è proprio l'esperienza di una continua sfida a Dio da parte del popolo, che reclama ora l'acqua, ora il pane, ora la carne, ora la pentola piena di cipolle dell'Egitto, ora la guarigione dai morsi dei serpenti, ora delle figure alternative a Mosè, fino a giungere alla sfida più grave, quella idolatrica di possedere un Dio alternativo a quello di Mosè, spesso troppo assente o silenzioso, o che parla solo attraverso il suo servo.
E Dio risponde facendo leva sul grado di fiducia che il popolo è capace di attribuire al suo rapporto con lui. Per cui, la manna non può essere raccolta in grande quantità, ma giorno per giorno per il fabbisogno familiare quotidiano, e questo perché Dio "possa vedere se il popolo cammina o no secondo la sua legge", cioè se si fida di lui. Dio "mette alla prova" il popolo per vedere se nella quotidianità è capace di fidarsi della Provvidenza più che della provvigione, se si getta alla ricerca del cibo per vivere o se vive solo per procurarsi da mangiare, se invece di chiedersi "Dio c'è, sì o no?" è capace di chiedersi piuttosto "io mi fido di lui, sì o no?". L'esperienza di fede, pur non eliminando il riferimento a ciò che è scientifico, ribalta completamente il nostro punto di vista, e invita l'uomo a vedere Dio non più come il facile risolutore dei suoi problemi, ma come colui che ha in mano le sorti della vita dell'uomo, ed è disposto a concedergli vita, e vita in abbondanza, se è capace di accettare la logica della gratuità, ossia della Grazia. Quella logica per cui Dio devo cercarlo non perché mi dà la manna ogni giorno (e io cerco di immagazzinarne il più possibile) o perché mi moltiplica cinque pani e due pesci (e io lì a cercare di accaparrarmi i pezzi avanzati), ma perché so che lui è lo scopo della mia vita, è la mia vita, e vita in abbondanza. A condizione che io riesca a fidarmi di lui.
La logica di Gesù è totalmente ribaltata rispetto alla logica umana di domenica scorsa, dove il miracolo aveva suscitato la fede nel "grande profeta che deve venire nel mondo". Oggi Gesù ci chiede di guardare tutte le cose che avvengono nella vita, anche quelle apparentemente straordinarie o miracolose, con l'ottica della fede. La scorsa domenica Gesù compì il miracolo perché la gente credesse: oggi fa un passo in più e chiede alla gente di credere, di avere fede, perché capisca che il vero miracolo non è quello di avere a portata di mano il pane materiale da mettere sotto i denti con facilità (tant'è, c'è il prestigiatore che lo moltiplica...), ma di credere in Dio come in colui che dà la vita al mondo, sia la vita materiale, fisica, sia (e soprattutto) quella meta-fisica, quella che va oltre il fisico, quella spirituale, quella che non perisce. Quella di cui abbiamo un pegno nell'Eucaristia, "il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo ci darà".
E questa logica si coglie solamente "in un luogo deserto", ovvero laddove sei veramente privo di tutto al punto che tutto ciò che ti viene donato non è dovuto, ma è per Grazia.
Siamo come di fronte a un bivio, davanti al quale possiamo scegliere che fare del nostro rapporto con Dio: o lo basiamo su un rapporto commerciale, "di marketing" (io ti chiedo una grazia, e tu me la concedi secondo le mie insistenze e in base al prezzo pagato della fatica che faccio nel venire a cercarti, da una parte all'altra del lago di Galilea, oppure sul monte in un luogo deserto), oppure su un rapporto di fiducia e di abbandono, che accetta la logica del "poco per volta", della provvisorietà, della Provvidenza.
Possiamo fare l'una o l'altra cosa, con Dio. Non dobbiamo però avere la pretesa di credere che l'esito, per la nostra vita, sia identico.
Da una parte, infatti, ci sta una vita bella e comoda: dignitosa, forse, e magari anche con molte certezze concrete, dove non dovremo più nemmeno preoccuparci del pane di ogni giorno. Una vita che terminerà con la morte, come per i nostri padri nel deserto. Ma niente di più.
Dall'altra parte, invece, ci sta una vita apparentemente precaria, che di certezze concrete e materiali ne ha poche. Ma di certo è vita, e con molta probabilità, se ci fidiamo di lui, sarà anche abbondante e felice. Di certo, è vita eterna.