Omelia (01-08-2021)
padre Gian Franco Scarpitta
Il pane e l'amore

La storia del popolo d'Israele fuggito dall'Egitto ci ragguaglia del fatto che solo Dio può soddisfare le necessità materiali dell'uomo: mentre nel deserto ci si lamenta della mancanza assoluta di generi alimentari anche semplici e frugali, Dio interviene a sfamare il suo popolo concedendo carne che al tramonto viene elargita sotto forma di quaglie, ma soprattutto con il dono della "manna" dal cielo. Inaspettatamente al mattino la gente nota che uno strato di rugiada nasconde della materia che non si sa come identificare, ed esclama: "Man hu"= che cos'è? Si tratta di resina proveniente dalle piante di tamerisco coagulata e resa sotto forma di pane. Di questo cibo il popolo si nutrirà a lungo e trarrà la forza per proseguire il suo cammino. Ne viene fornita ogni giorno il quantitativo sufficiente per il mantenimento fino al tramonto; giorno dopo giorno cioè Dio fornisce al popolo questo alimento inaspettato, il che esorta per l'appunto a considerare che solo Dio estingue la fame del suo popolo nelle vicissitudini in negativo. La preghiera del Padre Nostro rafforza il concetto della Provvidenza con l'espressione: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano": letteralmente "il pane del giorno che viene, necessario al giorno di oggi che sta per entrare. Il "pane" è l'alimento base irrinunciabile, quello di cui non si può fare a meno. Il pane con cui ci si nutre è sempre dono della Provvidenza e ad essa sarebbe necessario affidarsi, mostrando anche gratitudine a Colui che è all'origine di ogni sostentamento materiale. Chissà se ci ricordiamo davvero di rendere grazie a Dio perché possiamo metterci a tavola tutti i giorni? La nostra preghiera di lode e di ringraziamento non dovrebbe essere di natura formale o approssimativa, ma dovrebbe davvero considerare l'entità del dono di cui sempre siamo beneficiari.
Anche Gesù ripartisce il pane accanto al pesce per rafforzare l'idea della Provvidenza ma anche l'efficacia della fede e dell'ascolto della Parola del Signore; tuttavia non si deve accorrere a lui per la sola fame fisica o per il solo fabbisogno materiale e la preghiera orientata ad ottenere solamente ciò che desideriamo, non sarebbe una preghiera da discepoli. Piuttosto Gesù ragguaglia le folle e per estensione tutti coloro che si mettono al suo seguito, che accanto al pane legittimamente agognato ogni giorno per la sopravvivenza neurovegetativa, vi è un altro alimento basilare per la salute continua, per il beneficio spirituale e per la salvezza eterna. Un alimento che prevarica anche la stessa manna del cielo ottenuta grazie all'intercessione di Mosè. Così si esprime infatti Gesù: "Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal Cielo, quello vero...(Gv 6, 32). Pur ammettendo l'efficacia della potente intercessione di Mosè, ora Gesù afferma la sua superiorità su di lui, perché identifica se stesso con il "pane vivo."
Lo stesso Gesù, che ribadisce la sicurezza del sostentamento quotidiano, raccomanda tuttavia che ci disponiamo ad assumere Lui stesso come alimento di vita. Egli stesso si propone all'uomo come il pane mangiando del quale non si ha più fame, capace perfino di estinguere anche la sete oltre che la fame, se è vero che "chi crede in me (in Gesù) non avrà più sete. Basta credere in lui come il Figlio di Dio, la Parola Incarnata che il Padre ha mandato nel mondo; è sufficiente credere, aderire e disporsi a vivere di lui costantemente. Ma è anche necessario cibarsi di lui, assumerlo come alimento anche nel senso più diretto del termine.
"La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui" (Gv 6, 52 - 53) esclama Gesù esattamente dopo aver compiuto il prodigio della moltiplicazione dei pani e con queste parole associa per l'appunto, ancora una volta, pane e carne. Mentre infatti invita tutti a mangiare la sua "carne", definisce se stesso "pane vivo disceso dal cielo", mangiando del quale non si avrà più fame. In parole povere Gesù ci invita a mangiare di lui, non soltanto nel senso metaforico di assimilare in tutto la sua persona e il suo messaggio, ma anche nel reale senso di "masticare", "addentare" e consumarlo quale cibo infinitamente duraturo e alimento di vita. Dove potremo mai mangiare la sua carne? Nella sua presenza reale e sostanziale nell'Eucarestia, definita pane degli angeli che non deve mai mancare. In essa la sua presenza, nelle sembianze di pane, è reale e sostanziale e nell'assumerla noi siamo nutriti così della sua carne e del suo sangue perché il pane eucaristico consacrato è Gesù Cristo Figlio di Dio nella sua integrità. Mangiare del Corpo del Signore equivale ad assumere un alimento di efficacia abnorme che ci sospinge con fiducia nei percorsi della vita quotidiana.
Ricevere il pane comporta però anche che lo condividiamo nelle opere atte a scongiurare il dilagare della fame e dell'ingiustizia nella ripartizione dei viveri. Assimilare Gesù come pane vivo non può escludere che ci interessiamo di quanti non dispongono degli alimenti di prima necessità; al contrario la fede e l'adesione al Pane vivo comportano come conseguenza necessaria che si venga incontro alle innumerevoli necessità di chi soffre la fame in tutte le parti del mondo, che si provveda a sfamare coloro che mancano perfino del primo sostentamento per la sopravvivenza.
Assumere Gesù Pane vivo e usare indifferenza verso coloro che mancano del necessario vuol dire venir meno all'amore, quindi banalizzare anche l'amore dello stesso Signore nei nostri confronti. Lo stesso Amore in forza del quale egli stesso si rende pane.