Omelia (01-08-2021)
don Lucio D'Abbraccio
Signore, aumenta la nostra fede e aiutaci ad amarti!

La prima lettura di questa domenica, tratta dal libro dell'Esodo, si collega indubbiamente al vangelo. Il riferimento è alla manna e alle quaglie, ma anche alla figura di Mosè. L'autore sacro scrive che la liberazione dall'Egitto è stata grandiosa, ma il viaggio nel deserto si fa difficile e gli Ebrei si lamentano con Mosè e Aronne, che chiedono pane e carne. Dio risponde mandando al popolo la manna e le quaglie.

La manna, cibo che scende dal cielo, è stato un segno prodigioso dell'amore di Dio e venne considerata in seguito un cibo spirituale.

Secondo alcuni biblisti, quaglie e manna potrebbero essere fenomeni naturali, essendo presenti ancora al giorno d'oggi. Le quaglie emigrano a stormi fra l'Africa, l'Arabia e i paesi del Mediterraneo e sostano anche nella penisola del Sinai. Quanto alla manna, sarebbe la secrezione biancastra di un arbusto che cresce nel deserto del Sinai, la Tamarix mannifera. Dio avrebbe dunque nutrito il suo popolo, affermano i biblisti, facendogli trovare questi alimenti lungo il cammino; divennero il segno della sua protezione e del suo amore. Le quaglie e la manna apparvero, ai credenti, doni del cielo.

Ebbene, nel vangelo abbiamo ascoltato che la folla va in cerca di Gesù. Lo cercano perché hanno mangiato e si sono saziati. Sono semplicemente curiosi e soprattutto interessati al pane materiale, al miracolo sensazionale. Non vanno oltre nei significati possibili del clamoroso prodigio a cui hanno assistito e partecipato. Sono perfino disposti a riconoscere che Gesù, l'abbiamo ascoltato domenica scorsa, è l'atteso Messia e a farlo re, perché scuota il giogo del dominio straniero e risolva i loro problemi. Ma non saranno disposti ad andare oltre.

Il dialogo tra Gesù e la folla comincia con una domanda: «Rabbì, quando sei venuto qua?». A questa domanda Gesù risponde: «voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà». Ciò significa che Gesù li invita a «darsi da fare» non per ottenere ancora quel pane materiale destinato a perire, ma ad aprirsi a lui, che può dare un pane «che dura per la vita eterna».

La folla ancora una volta non pare capire e domanda: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù, annota l'evangelista, risponde: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato», ossia: «dovete credere che io sono il pane che discende dal cielo, mandato dal Padre e che dà la vita al mondo. Pane che sfama per sempre».

Ma alla folla non basta il miracolo grandioso compiuto da Gesù, e chiede nuovi segni per poter credere, segni più convincenti: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». A questo punto, scrive Giovanni, Gesù dice: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Queste parole di Gesù significano che «lui è la manna che aspettavano». Tra gli Ebrei, infatti, vi era una credenza secondo la quale il Messia sarebbe venuto in una festa di Pasqua e allora sarebbe cominciata a cadere la manna dal cielo. Dunque Gesù precisa che non è stato Mosè a dare agli esiliati il pane del cielo, perché Mosè stesso se ne è cibato, come gli altri. È stato il Signore a dare la manna. Mosè ha solo riconosciuto l'origine del dono e ha invitato il popolo a ringraziare.

Da questo brano evangelico ne traiamo la seguente conclusione: noi cerchiamo la potenza di Dio ma non la vita di Dio. Non ogni ricerca di Dio, porta a Dio. A volte dietro il nome di Dio, si nasconde vergognosamente il nostro orgoglio, il nostro egoismo, la nostra meschinità. Spesso chiamiamo fede, ciò che fede non è. Spesso chiamiamo religione, ciò che è l'esatto contrario della religione. Noi cerchiamo i vantaggi della fede, ma non vogliamo credere e non vogliamo cambiare vita.

Inoltre, questa pericope, ci vuol far capire che non basta il pane per sfamare l'uomo: ci vuole un altro cibo. In poche parole, l'uomo non può sfamarsi con il solo benessere. Allora chi vive per il solo benessere, prima o poi affogherà nel niente; allora una famiglia che si preoccupa solo di moltiplicare benessere per i figli, compie un'operazione giusta, secondo la mentalità del mondo, ma secondo la fede compie un'operazione di infelicità perché il materialismo è condannato da Cristo il quale dice: «Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (cf Mt 6,19-21).

Nutrirsi certamente ha la sua importanza. E Gesù lo ha ben dimostrato facendo il miracolo. Ma il suo non è stato soltanto un gesto di umanità ma vuole far comprendere a coloro che avevano chiesto: «Signore, dacci sempre questo pane», che lui è il vero pane della vita: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!». Ciò significa che egli è venuto da Dio e coloro che lo accolgono «abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (cf Gv 10,10).

Ebbene, Gesù si rivela come colui che è in grado di saziare la fame e spegnere la sete di ogni uomo. Dio ci dà il pane, cioè il necessario per vivere, e spesso anche di più, ma noi gli chiediamo altro, e ci comportiamo come bambini capricciosi che non vengono ascoltati nelle loro richieste, anche le più banali e inutili. A noi interessa il conto in banca, una bella casa, un piatto assicurato e la salute... ma spesso, troppo spesso, non ci interessa Dio! Ma quante volte il Signore ha calmato le tempeste della nostra vita, ci ha guariti, ci ha consolati, ci ha colmato di doni! Eppure continuiamo o a mettere da parte Dio o ad essere uomini di poca fede.

Preghiamo il Signore perché aumenti la nostra fede, aumenti il nostro abbandono in lui, aumenti la gratitudine per quanto egli fa per noi, e ci aiuti ad amarlo «con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutta la forza» (cf Mc 12,30). Amen!