Omelia (08-08-2021) |
don Lucio D'Abbraccio |
Nutriamoci del Corpo di Cristo! La prima lettura ci propone ciò che segue alla sfida che Elia ha lanciato ai 450 sacerdoti di Baal, sostenuti da Acab e Gezabele, che ora vuole far uccidere Elia: «Gezabele inviò un messaggero a Elia per dirgli: "Gli dèi mi facciano questo e anche di peggio, se domani a quest'ora non avrò reso la tua vita come la vita di uno di loro"» (cf 1Re 19,2). Il profeta, impaurito, si sente braccato e fugge attraverso il deserto per raggiungere il monte di Dio, l'Oreb. L'autore sacro scrive che «Egli s'inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra», ma l'aridità del deserto gli è fatale e desidera morire: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri. Si coricò e si addormentò sotto la ginestra». Ma ecco che gli viene in soccorso un angelo, che gli porge per due volte una focaccia e un orcio d'acqua. Con la forza riacquistata, Elia cammina «per quaranta giorni e quaranta notti» e giunge al monte dove parlerà con Dio. L'esperienza di Elia è un'esperienza umana che tutti almeno una volta abbiamo fatto o che potremmo fare nella vita. Quante persone, stanche della vita, desiderano morire! In soccorso del profeta viene un angelo inviato da Dio che gli porta pane e acqua: in quel momento era indispensabile quel tipo di soccorso. E c'è da sperare che anche noi, trovandoci in situazioni difficili, possiamo trovare chi ci porge l'aiuto necessario, per trovare ancora la forza di camminare, di lottare, di faticare. In certi momenti ci vuole il pane, cioè un aiuto materiale, ma il senso della vita lo dà la parola di Gesù. Perché il pane sazia la fame di oggi, ma domani è un altro giorno e ciascuno dovrà trovare la forza di superare le nuove difficoltà con la giusta determinazione. Nella Lettera agli Efesini, Paolo ricorda ai cristiani di essere stati «segnati» dallo Spirito. Un po' come si faceva con gli schiavi, che venivano marchiati a fuoco per indicare la perpetua appartenenza al loro padrone. Ebbene, Paolo chiede ai cristiani di Efeso di vivere una vita nuova, lasciandosi guidare dallo Spirito, vivendo l'amore con il quale Cristo ci ha amati. E, sempre ai cristiani di questa comunità, Paolo elenca prima i difetti da evitare e poi, in forma positiva, le qualità che caratterizzano i battezzati. I vizi elencati sono sei: «asprezza, sdegno, ira, grida, maldicenze e ogni sorta di malignità». Tutti difetti che si riferiscono al parlare e che nascono dalla durezza verso gli altri, dalla mancanza di carità. Da questi vizi, infatti, si può concludere che l'asprezza nei rapporti in famiglia e nella vita professionale, la mancanza di misericordia e di benevolenza, minano ogni possibilità di condurre una serena vita sociale. Ebbene, Paolo invita gli Efesini all'attenzione all'altro, a «perdonarsi a vicenda», che è la premessa per rivivere da cristiani a imitazione del Signore Gesù, che «ha dato se stesso, offrendosi in sacrificio» per noi. Nel vangelo, invece, abbiamo ascoltato che Gesù dice: «Io sono il pane disceso dal cielo». A questa affermazione i Giudei mormorano e rispondono con stupore: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: "Sono disceso dal cielo"?». Nella Bibbia la mormorazione è sinonimo di rifiuto di credere, è dichiarazione di ostilità, è chiusura davanti ad una proposta di Dio. Ma noi sappiamo che Dio si offre, ma non costringe; propone, ma non impone; bussa alla porta, ma non sfonda la porta. La fede, allora, è dono di Dio, ma è anche atto di libertà. Tutti sono chiamati alla fede, ma non tutti rispondono con la fede. Ma chi arriva alla fede? Arriva alla fede chi fa la volontà di Dio. Infatti Gesù dice: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato [...] Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me». Che significano queste parole? Significano che si riesce a credere in Gesù soltanto se si vive una vita onesta, leale e umile nei confronti di Dio. Se si fa la sua volontà, e non la nostra, ogni giorno. Infatti, come il seme ha bisogno della terra per germogliare e dare frutti, così la fede ha bisogno di un cuore disponibile e orientato ad accogliere Dio nella propria vita. Ebbene sì, la fede è risposta generosa a Dio! Ecco perché Gesù risponde ai suoi mormoratori dicendo: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Ciò significa che chi mangia di lui non avrà più fame, e chi crede in lui non avrà più sete. Gesù è colui di cui noi abbiamo bisogno più del pane: è lui il vero dono di Dio capace di colmare le nostre attese più profonde. Gesù, dunque, afferma di essere il Figlio di Dio, l'unico in grado di sfamare il nostro cuore e di saziarci oggi e per l'eternità. La manna che gli Ebrei hanno mangiato durante la loro fuga non li ha sottratti alla morte. Chi invece mangia il pane vivo, che è la sua carne, vivrà per sempre. Anche noi, che siamo presenti alla celebrazione eucaristica, siamo in attesa di «mangiare» il corpo di Cristo. Nutriamoci di questo santissimo Corpo perché esso è un cibo che non perisce, ma dà la vita eterna. Amen! |