Omelia (22-08-2021)
mons. Roberto Brunelli
Volete andarvene anche voi?

Il brano di vangelo che si legge oggi (Giovanni 6,60-69) è quello che conclude il lungo discorso sull'Eucaristia tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, il discorso che abbiamo letto a brani nelle scorse domeniche. "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue...", "Colui che mangia me...": queste e simili espressioni, da lui usate, non potevano lasciare indifferenti; sono così forti, che potevano suscitare solo una risposta decisa, di accettazione o di rifiuto. Ed ecco quel che accadde: "Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui".
Per chiunque si offra al bene del prossimo, vedersi pubblicamente rifiutato dev'essere un'esperienza frustrante, tale da indurre a ritirarsi nell'amarezza della solitudine. Se invece dietro l'offerta c'è un calcolo, un tornaconto personale, l'interessato prova a non demordere, tentando più facili approcci. Invece Gesù, di fronte al rifiuto, non adottò né l'uno né l'altro di questi comportamenti: non si ritirò di certo, non abbandonò il suo impegno, ma neppure scese a compromessi. Diversamente da come avrebbe fatto un imbonitore in cerca di seguaci, di popolarità, di successo, egli non fece nulla per trattenere quei suoi ormai ex discepoli, non si mise a spiegare, ad attenuare, ad ammorbidire le precedenti dichiarazioni. Anzi, si volse agli apostoli e quasi provocatoriamente chiese loro: "Volete andarvene anche voi?" Come dire: la verità è quella che è; prendere o lasciare.
Da questo atteggiamento del suo Fondatore la Chiesa trae la risposta anche ai suoi problemi di oggi. Le chiese si svuotano; le confessioni si fanno rare; preti e suore sono sempre meno; le convivenze non destano più meraviglia; quelli che si sposano in chiesa sono vistosamente in calo, e anche loro poi spesso divorziano; per tanti, il papa e i vescovi possono ben parlare: chi se ne importa? Insomma è in atto un'ennesima crisi, una delle tante che, ciascuna a modo proprio, nel corso dei secoli hanno investito il mondo cristiano. Passerà, come le precedenti; ma alcuni, magari sinceramente zelanti, vorrebbero ricuperare subito, e secondo loro sarebbe facile: basterebbe introdurre il matrimonio per i preti e la comunione ai conviventi, ammettere il divorzio e le unioni gay, e così via. Ma è giusto? Che cosa farebbe Gesù?
La verità non si mercanteggia; una malattia non si guarisce negando che lo sia; un maestro che non segnala gli errori condanna gli alunni a ripeterli all'infinito. Perciò, tanta comprensione, ogni aiuto a chi sbaglia, ma non ingannandolo col dire bianco quel che è nero, o viceversa. Nessuno, nemmeno il Padreterno, obbliga un uomo a credere; ma chi aderisce deve farlo con senso di responsabilità, accettando ciò che viene dall'Alto, in toto. La fede non è un supermercato, dove ciascuno prende quel che vuole; non è un motore da truccare perché corra più veloce.
Ma allora, perché prendersi il disturbo di credere? La risposta è quella data da Pietro alla provocatoria domanda di Gesù: "'Volete andarvene anche voi?' Gli rispose Simon Pietro: ‘Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!'"
Nelle nostre giornate incontriamo molti che parlano, con le parole o con i comportamenti: uomini politici, giornalisti, scrittori, insegnanti, opinionisti della televisione, persino attori e cantanti che si impancano a maestri di vita, distribuendo ciascuno le proprie ricette, i propri surrogati della felicità. Ma quando si è presi dalla malattia, quando l'età avanza, quando manca il lavoro, insomma di fronte ai problemi veri si vede tutta l'inconsistenza di tanti discorsi, che se va bene possono valere per questa vita. E ‘dopo'? San Luigi Gonzaga, non l'adolescente introverso delle immaginette ma quel che era davvero, un uomo saldamente maturo, vagliava cose e idee chiedendosi: "Quid ad aeternitatem?" Cioè: vale, questo, per l'eternità? Forse aveva in mente proprio la risposta di Pietro: Tu, Signore, tu solo hai le parole che ci guidano al ‘dopo'.