Omelia (22-08-2021) |
don Alberto Brignoli |
E dove, Signore, se non da te? Dopo averci accompagnato per circa un mese - a parte la breve pausa di cielo limpido e aperto che abbiamo contemplato domenica scorsa nell'Assunzione di Maria - il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni oggi si congeda dalla Liturgia della Parola domenicale, senza peraltro smentirsi riguardo alla propria difficoltà di comprensione. Anzi, l'esordio stesso del brano di Vangelo ci fa capire che il tema di oggi ruota intorno proprio a questa difficoltà. I discepoli di Gesù - badiamo bene, non le folle o i capi dei Giudei, notoriamente contrari all'insegnamento del Maestro - esprimono tutta la loro fatica di fronte al messaggio ascoltato: "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?". E come dar loro torto, visti i temi toccati da Gesù nel suo discorso seguito alla moltiplicazione dei pani e dei pesci? Già il miracolo in se stesso non è stato di facile comprensione: come egli abbia potuto dar da mangiare a più di cinquemila persone con una miseria, rimane un mistero incomprensibile, ma l'entusiasmo per il gesto compiuto e il fatto di aver mangiato gratis e in abbondanza ha fatto passare in secondo piano ogni domanda e ogni perplessità al riguardo. Come avviene spesso anche per noi, del resto: a pancia piena e senza spendere un soldo, nessuno osa porsi domande sul senso delle cose, per quanto miracolose o misteriose possano essere... Poi, però, la sazietà passa e l'entusiasmo si spegne, e - superato anche il trauma di vedere Gesù camminare sulle acque del lago in burrasca - arriva il momento di riflettere su ciò che è avvenuto. La riflessione ce la offre il Maestro stesso, e il suo discorso è fatto di tanti elementi intorno ai quali si fa davvero fatica a creare collegamenti e soprattutto a capire come mettere in pratica certi insegnamenti. Tra l'altro, il suo discorso viene spesso interrotto da domande di chiarificazione, o quanto meno da espressioni di perplessità da parte dell'uditorio. Subito, all'inizio, le folle chiedono a Gesù cosa bisogna fare per compiere con la volontà di Dio, e la sua risposta è abbastanza semplice, anche se non di facile attuazione: occorre credere in Colui che Dio ha mandato. Chiaramente, le folle hanno bisogno di segni concreti sulla base dei quali poter credere in Gesù: "Quali segni compi perché possiamo credere in te?". E qui, una certa incapacità a riconoscere la grandezza di Gesù dopo due grandi segni come la moltiplicazione dei pani e dei pesci e la camminata sulle acque denota una scarsa sensibilità nei confronti delle cose di Dio... Gesù passa allora al contrattacco, e visto che i Giudei avevano tirato in ballo la manna nel deserto come segno della presenza di Dio nella storia del popolo d'Israele, egli rimarca la differenza tra il pane mangiato dai loro padri nell'Esodo e il pane di vita che lui stesso può offrire a chi crede in lui: chi ha mangiato la manna si è saziato, ma tutto è terminato con la morte (e per di più, senza che la maggior parte di essi entrasse nella Terra Promessa, a partire da Mosè); chi mangia il pane disceso dal cielo che egli dà, ha la vita eterna. La fatica a comprendere diventa sempre più grande: questo Maestro sarà anche bravo e farà anche cose prodigiose, ma è pur sempre uno di noi, è il figlio di Giuseppe il falegname, sappiamo bene da dove venga... in buona sostanza, chi si crede di essere? E perché non ci dà una volta per tutte questo pane che toglie eternamente la fame? Cos'è mai questo pane? Di che grano è fatto? No, niente grano e nessuna ricetta segreta: questo alimento di vita eterna è la sua carne e il suo sangue. Chi si ciba della sua carne e chi beve il suo sangue diventa una sola cosa con lui e avrà la vita eterna. Siamo onesti: non è facile per noi comprendere oggi, dopo duemila anni di fede cristiana, il mistero dell'Eucaristia, come possiamo pretendere che gli interlocutori di Gesù accettassero senza riserve e senza tentennamenti queste parole? Da qui, infatti, la protesta finale, questa volta - come abbiamo detto - da parte dei suoi stessi discepoli: "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?". E Gesù cerca di articolare la sua risposta invitando i suoi discepoli a non scandalizzarsi per le sue parole, e a fidarsi di esse, perché "sono spirito e sono vita", cioè contengono una forza capace di andare al di là dei limiti della debolezza umana e della stessa morte. Certo, per fare questo occorre avere fede in lui: "Ma tra voi alcuni non credono", dice Gesù senza mezzi termini ai suoi discepoli. Questione di fede? Sì, questione di fede. Solo ed esclusivamente questione di fede. Seguire Gesù e accettare le sue parole come spirito e vita è questione di fede. Allora, come oggi. Ci si fa spesso molte domande, riguardo ai misteri della vita e ai misteri del credere. Sono domande che a volte rivolgiamo a noi stessi, sperando di trovare nel nostro vissuto, nel nostro cuore, nella nostra coscienza, una risposta soddisfacente. A volte queste domande le rivolgiamo a chi - magari perché più preparato o perché in apparenza più credente di noi - pensiamo possa aiutarci a trovare una risposta competente e magari anche a indicarci la strada da percorrere. Altre volte, invece (forse più frequentemente che in altre circostanze), queste domande le rivolgiamo direttamente a Dio: magari come una supplica, ammettendo la nostra poca fede; magari con un grido di disperazione, quando è messa a dura prova la nostra pazienza; magari con un senso di rassegnazione o di protesta nei confronti di Dio, perché vorremmo che almeno lui fosse chiaro e ci indicasse il modo per vivere una vita serena senza troppi giri di parole o senza la necessità, da parte nostra, di andare alla ricerca della verità perdendoci nei meandri dei misteri spesso incomprensibili della vita. A volte può capitare - come Gesù ai Dodici nel Vangelo di oggi - che il Signore ci metta di fronte alle nostre responsabilità e che sia lui a farci delle domande, anzi, una sola domanda, che denota rispetto nei confronti della nostra fatica, più che delusione o rassegnazione di fronte alla nostra incredulità: "Volete andarvene anche voi?". È solo questione di fede: sta a noi rispondere. E se ci accorgiamo che è faticoso dirgli esplicitamente e chiaramente che vogliamo restare con lui, compiamo almeno lo stesso atto di umiltà di Pietro, che in attesa di poter ribadire in maniera convinta la propria fede, riconosce la grandezza del Maestro e la pochezza delle tante parole che ascoltiamo ogni giorno, dai più disparati pulpiti dell'umana ignoranza: "Signore, da chi andremo? Tu - almeno tu - hai parole di vita eterna". |